La lettura de Solo il mimo canta al limitare del bosco di Walter Tevis ha portato la mia memoria in dietro di decenni. Anni eroici nei quali passavo il tempo a scartare i pacchi postali che il postino mi recapitava con cadenza quasi settimanale. All’epoca ero cliente abituale di Nord e Fanucci, ma acquistavo anche i volumi di collane già estinte ma col servizio arretrati ancora attivo, come la celebre Galassia de l’Editrice La Tribuna. Frequenti erano le mie scorribande per librerie e edicole, dove facevo incetta di Urania e Oscar Mondadori come se non ci fosse un domani, e non disdegnavo le edizioni rilegate Mondadori e Rizzoli.
Il tutto durò meno di dieci anni, poi iniziai a lavorare stabilmente e i ritmi di lettura inevitabilmente calarono, finché non mi bloccai quasi del tutto: tra il 1997 e il 2002 lessi davvero poco, per poi riprendere gradualmente ma senza quegli eccessi giovanili.
Walter Tevis lo scoprii intorno ai primi anni ’90, quando lessi del tutto casualmente, e a poca distanza l’uno dall’altro, l’antologia Lontano da Casa e i due romanzi L’Uomo che Cadde sulla Terra (capolavoro assoluto, così come il cult movie con David Bowie che ne è stato tratto qualche anno dopo), e l’ottimo A Pochi Passi dal Sole, libro pubblicato su Urania una volta soltanto, nel 1992, e che a mio avviso sarebbe il caso finalmente di riproporre.
In pratica, 4/3 della produzione fantascientifica di Tevis l’avevo già fatta mia più di 25 anni fa, e mi mancava soltanto questo Solo il mimo canta al limitare del bosco. Per qualche motivo, tuttavia, ne rinviai per troppo tempo l’acquisto. Probabilmente l’editore Nord all’epoca non lo aveva più in giacenza, in libreria non si trovava più, e l’osceno titolo Futuro in Trance*, con il quale Mondadori lo ripropose in un paio di edizioni Urania e in un Oscar, me lo resero indigesto. Errore madornale.
Ho acquistato questo libro in ebook qualche mese fa, ciononostante l’ho messo in coda per dedicarmi alla lettura di alcuni romanzi più recenti. Purtroppo, passati gli anni eroici di cui sopra, ho perso interesse verso la fantascienza “vecchia”, per via del fatto che buona parte di quanto scritto fino all’inizio degli anni ottanta risulta ormai superato dal punto di vista tecnologico. Certo, non ci sono ancora in viaggi intergalattici, ma le tecnologie che hanno a che fare col quotidiano hanno reso eccessivamente obsolete buona parte delle previsioni fatte dai gradi scrittori di SF, fino a farle apparire estremamente ingenue, e questo un po’ mi fa storcere il naso. Per fortuna, prima di maturare nuovi interessi, di buona fantascienza posso dire di averne letto davvero tanta.
Mi mancava giusto Il mimo: un romanzo stupendo, malinconico, a tratti struggente e con un finale bellissimo, che m’ha fatto accapponare la pelle (letteralmente, reazione che ho sperimentato in vita mia non più di una decina di volte, una volta arrivato alla fine di un libro).
Tuttavia, prima che il libro iniziasse a ingranare, ci sono voluti almeno quattro o cinque capitoli di “assestamento”. Dopodiché, la voglia di riprendere il libro in mano ad ogni minima occasione s’è fatta irrefrenabile.
La sinossi in poche parole, senza spoiler: tra qualche centinaio di anni, in una Terra ormai spopolata, gli uomini vivono un’esistenza tranquilla: le droghe legali, la privacy, il “sesso rapido” ed una relativa stabilità economica, rendono la vita di ogni singolo individuo tanto semplice quanto piatta e monotona, e l’unica alternativa allo status quo consiste nell’immolarsi, bruciarsi vivi, come sempre più persone scelgono di fare, senza che questo desti il minimo interesse.
Il tutto viene regolato, controllato e pianificato dai Robot, di cui Spofforth ne rappresenta l’esemplare più evoluto. Dalle bellissime sembianze perfettamente umane, ma privo di organi genitali, Spofforth, creato per servire gli uomini e al quale vengono assegnati col tempo incarichi sempre più importanti e determinanti per le sorti del pianeta, vorrebbe porre fine alla proprie esistenza, ma la sua programmazione glielo impedisce: finché ci saranno uomini sulla terra, lui dovrà vivere per servirli.
Paul Bentley è invece un professore universitario (alter ego dello scrittore?) che su incarico di Spofforth visiona decine di vecchi film, e per capire il senso delle didascalie dei primi film muti, rimpara a leggere e scrivere, abilità ormai perse nel futuro immaginato da Tevis (ho fatto un po’ fatica, dal punto di vista logico/scientifico, a digerire questo aspetto del romanzo).
Mary Lou è invece una giovane donna, una vagabonda che in qualche modo è riuscita a sottrarsi al “controllo” e a vivere indipendentemente. Paul incontra Mary allo zoo, uno zoo finto, dove animali e bambini sono in realtà dei robot.
I due iniziano una relazione. Grazie agli insegnamenti di Paul, anche Mary Lou impara a leggere e scrivere. Ma Spofforth non può permettere tutto questo, e farà in modo che Paul venga processato e imprigionato in un carcere da dove poi tenterà la fuga. Spofforth porta Mary Lou a vivere con se, e lei nel frattempo scopre di aspettare un bambino: sarà l’ultimo esemplare della razza umana, in un mondo giunto al capolinea e dove i bambini non esistono più?
Il romanzo è narrato alternativamente in prima persona da Paul e Mary Lou , mentre i capitoli dedicati a Spofforth vengono narrati in terza persona. L’alternanza dei punti di vista non fa che impreziosire la lettura dell’opera.
L’edizione è corredata da una ricca prefazione di Goffredo Fofi (da leggere DOPO aver letto il romanzo), una presentazione (abbastanza inutile) di Jonathan Lethem e da un profilo bio-bibliografico.
Aggiungo infine che benché non possa pretendere che questo libro piaccia a tutti, ritengo che meriti il suo posto nella libreria di ogni vero appassionato di fantascienza. Si tratta di un vero classico del genere, un romanzo importante scritto sulla scia del Il Mondo Nuovo, 1984 e soprattutto Fahrenheit 451. Fidatevi.
* Non si offenda nessuno, specie se tra i miei “amici” su FB…