Con il racconto Rigenerazione, Giampietro Stocco compie un deciso balzo in avanti, spostandosi dalle complicate (ma non per lui…) ambientazioni ucroniche a quelle per certi versi più semplici e comode (ma non per me…) della distopia classica.
La vicenda è ambientata in un futuro in cui l’umanità è sopravvissuta a una non meglio precisata Svolta, un qualche genere di cataclisma o sconvolgimento economico o sociale, e nel quale gli esseri umani hanno acquisito la capacità di rigenerare quelle persone che, per qualche motivo, non riescono a evitare la morte.
Leda è una rigeneratrice, una Persona, e come tutti i suoi pari considera i Cosi, i rigenerati, animali da soma incapaci di provare dolore e sentimenti. Schiavi, ne più ne meno, immemori del loro passato.
Sarà tuttavia la curiosità della protagonista a condurla dove i cosi abitano e vivono, a osservarne i comportamenti, a cercare di capirne il linguaggio finché, accompagnata da uno di loro, li assisterà nel miracolo tanto spirituale quanto terreno della nascita. E qui mi fermo, altrimenti rischio di rivelare troppo di un racconto da poche decine di pagine.
Aggiungo soltanto che nella figura dei Cosi, dei rigenerati, mi sembra di aver colto parte di quelle suggestioni che caratterizzano buona parte della narrativa dedicata agli Zombie, al netto delle scene di cannibalismo e senza ricorrere a virus mutanti o a riti voodoo. Ma potrei sbagliarmi.
Una buona lettura, veloce e lineare. Un mondo creato in poche pagine che Stocco riesce a dipingere direttamente nella mente del lettore. Consigliato.
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Il Funerale
Il corteo funebre si dipanò per le vie del villaggio, con al seguito i pochi coloni rimasti. Un misero assembramento di vecchi testardi, accompagnati dai propri figli e con i nipoti condotti per mano.
Era giunto il momento di salutarne un altro. In quell’anno la comunità registrò una manciata di dipartite e, fortunatamente, qualche nuova nascita. La situazione era stabile. Le provviste erano sufficienti, e le colture sembravano reggere alle avversità.
Avevano bisogno d’aiuto, di un sostegno. Ma la terra d’origine aveva perso interesse nei loro confronti, e quei pochi coloni dovevano fare affidamento esclusivamente sulle loro forze. Ce la mettevano davvero tutta, ed era già un miracolo se una terza generazione era riuscita a vedere la luce tra quelle lande desolate.
Primo, di nome e di fatto, in quanto primo a posare piede da quelle parti, aveva scelto di andarsene da sveglio. Il male era giunto ormai a uno stadio terminale, gli mancava qualche settimana da vivere, forse qualche giorno, ma non voleva starsene fermo ad aspettare la morte. Le sarebbe andato incontro. I medicinali facevano il loro dovere. Non sentiva dolore. La sua mente era lucida.
Si fece rinchiudere dentro un sarcofago con oblò. Voleva assistere alla sua dipartita. Voleva guardare la morte in faccia, affrontare le fiamme senza paura. Voleva ritornare cenere. Voleva tornare a casa.
Imbarcarono il feretro nel vascello, e lui li vide piangere e salutarlo, in quel funerale senza religione e senza Dio.
La bara penetrò l’orbita terrestre pochi giorni dopo. Venne ridestato dal sonno indotto artificialmente. Vide il mare, le nuvole e la terra ferma. La temperatura salì vertiginosamente, ma non poteva sentire dolore. Mancò l’aria, le lacrime evaporarono e l’ultima cosa che vide fu la luce intensa delle fiamme. In quella discesa luminosa divenne cenere, e come cenere tornò a casa.
Il bambino vide la stella cadente attraversare il cielo, illuminandolo. Espresse un desiderio. Sarebbe voluto diventare un’astronauta. Volare nello spazio fin sulla Luna.
Lì avrebbe trovato qualcuno ad aspettarlo.