Questo articolo è stato scritto originariamente il 28 ottobre 2015 e oggi – agosto 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.
Chiariamolo subito: questa è pura e semplice Fantascienza. Certo non fantascienza hard, di quella che chi è poco avvezzo alla materia di solito s’immagina caratterizzata dai soliti luoghi comuni: gli alieni, le astronavi spaziali, la matrice, i mutanti con i super poteri e le macchine che volano. Ma come volete chiamare – voi critici che sapete tutto – un romanzo dove un virus stermina l’umanità intera e risparmia i bambini? Dico questo perché sia l’Autore (comprensibilmente, poi spiego perché), sia tutti i recensori con la puzza sotto il naso hanno fatto di tutto per evitare di includere questo romanzo in quel genere narrativo che in Italia uccide sul nascere ogni speranza di successo commerciale: la Fantascienza, appunto. E mentre a uno scrittore che campa dalle vendite dei propri libri tale rimozione – più o meno inconscia – può essergli perdonata, non si capisce perché chi recensisce sui grandi quotidiani nazionali e in TV eviti di pronunciare la parola Fantascienza, quasi come una bestemmia in chiesa. Tipico atteggiamento marchettaro italiota, immagino. In aggiunta, si può dire che qui da noi la SF, a parte quella nobile anglosassone, non se la fila quasi nessuno, salvo qualche rara eccezione, spesso rappresentata dai soliti finti-intellettualoidi che citano Dick senza averlo mai letto.
Fine dell’introduzione polemica.
Ricominciamo daccapo: Anna è un romanzo di fantascienza apocalittica… molto bello: giudizio a bruciapelo che mi sento di spendere subito. La storia è ambientata in Sicilia, in un futuro prossimo socialmente e tecnologicamente indistinguibile dal nostro presente. Una variante del virus dell’influenza, che causa una malattia mortale chiamata la Febbre Rossa, ha apparentemente sterminato l’intera popolazione adulta del pianeta. Dico apparentemente perché i sopravvissuti, tutti giovani ragazzi e bambini, immuni al contagio fino alla pubertà, ignorano cosa ci sia dall’altra parte dello Stretto di Messina. Ciò che è certo è che non viene più erogata l’energia elettrica e di conseguenza non funziona qualsiasi forma di comunicazione basata sulla tecnologia, il che rende impossibile capire cosa stia succedendo nel resto del pianeta. La protagonista, che presta il nome al titolo del romanzo, è Anna, adolescente in fase prepuberale, dal carattere forte, intelligente e dotata di quel minimo di istruzione – lascito di una madre saggia e consapevole – che si rivelerà indispensabile per sopravvivere nel nuovo mondo. Insieme a suo fratello Astor e all’amico Pietro, i tre cercheranno di attraversare la Sicilia, evitando le comunità di violenti ragazzini adoratori della Picciridduna, sorta di divinità feticcio dai poteri miracolosi, e il branco di bambini cacciatori, ancora più piccoli e dal linguaggio primitivo.
Nel lungo viaggio on the road attraverso l’isola sicula, Anna, coraggiosa e determinata come la quasi omonima Hanna cinematografica (interpretata da Saorsie Ronan e alla quale Ammaniti pare essersi ispirato non poco), dovrà ricorrere a tutte le sue forze fisiche e psichiche per sopravvivere in un mondo di macerie e violenza, difendere al contempo il fratello psicologicamente debole, e cercare di approdare in terra di Calabria, alla ricerca di qualche “adulto” o di quello che, rivelatole segretamente, potrebbe essere il bizzarro antidoto alla Febbre Rossa.
Il libro è lungo il giusto e si legge bene, e non viene mai voglia di interrompere la lettura. Un certo umorismo fa da sfondo alla vicenda, a tratti drammatica e mai volgare. Il finale è molto bello, da pelle d’oca. Infine, l’hanno detto tutti e lo dico anch’io, evidenti sono i riferimenti al Signore delle Mosche di Golding e a The Road di McCharty. Aggiungo una curiosità: a un certo punto c’è un passaggio nel romanzo che sembra copiato spudoratamente da una scena del film The Signs, di M. Night Shyamalan. Ma credo di averlo notato soltanto io…