Lo confesso: più di una volta sono andato vicino all’abbandono della lettura di questo libro. Ma alla fine, prendendomi molto più tempo di quello necessario, sono riuscito ad arrivare alla 398ttesima pagina di questo estenuante episodio mal riuscito di Ai Confini della Realtà.
Si, perché è evidente che l’intento dello scrittore italo americano Tom Perrotta è quello di ricalcare esattamente quel tipo di atmosfere alla The Twilight Zone. Obiettivo fallito.
Ma allora come ho fatto io, omicida seriale di libri abbandonati nei dintorni di pagina cinquanta, a portarne a termine la lettura? Andiamo per ordine…
Prima di affrontare la lettura del libro, ho seguito su Sky fino all’ultima puntata la serie TV che ne è stata tratta, e che vede lo stesso Tom Perrotta nel duplice ruolo di produttore e autore del soggetto. Continua a leggere
Archivi tag: Fantascienza
La questione ufologica
“Siete veramente così presuntuosi da credere d’essere le uniche forme di vita nell’universo?”. Quante volte l’ho sentito dire? Nessuno scienziato1 (sano di mente) mette in dubbio la possibilità (sottolineo: POSSIBILITÀ, non certezza) che altre forme di vita possano essersi sviluppate al di fuori della Terra, anche soltanto per una semplice questione statistica. Più difficile è che tali forme di vita abbiano sviluppato l’intelligenza come noi la intendiamo. Per quanto mi riguarda un essere intelligente è colui il quale si dimostra capace di progettare, realizzare e sfruttare una qualche forma di tecnologia, come la ruota, ad esempio. E qui le cose cominciano a farsi più complicate. Non fosse stato per un meteorite bello grosso, con molta probabilità i mammiferi sarebbero rimasti dei piccoli roditori, e i dinosauri avrebbero continuato a prosperare, ma non necessariamente a evolversi. Si può dire pertanto che la vita intelligente si sia sviluppata sulla Terra per puro caso. E su questo ci si può anche scornare, se non altro l’oggetto del contendere ha una valenza scientifica, per quanto puramente speculativa. Ben diverso è se la domanda te la fa uno che crede negli UFO. Benché affascinato da tematiche ufologiche, non ho ancora trovato nessun video, pubblicazione, testimonianza o racconto relativo a avvistamenti di UFO, alieni e affini che non sia facilmente smontabile usando il Rasoio di Occam (o il semplice buonsenso). Come dire: ci spero ma non ci credo. Eppure, per tornare al discorso iniziale, ogni volta che dichiaro il mio scetticismo sulla questione ufologica, salta fuori il solito filosofo che pronuncia la domanda posta a inizio articolo, dove l’essere presuntuosi non c’entra assolutamente nulla. È possibile che in qualche pianeta di una galassia lontana o su Alfa Centauri si siano sviluppate amebe giganti che si nutrono di uranio, ma difficilmente verrete a saperlo. Tuttavia la possibilità c’è. Sul fatto poi che queste si prendano la briga di costruire astronavi intergalattiche o interstellari, alimentate con chissà quale forma di energia, capaci di superare la velocità della luce2, per poi planare sulla Terra di nascosto, schiantandosi un po’ ovunque3, e si divertano a rapire i terrestri per chissà quale motivo4, bé, faccio molta fatica a non consideralo uno spunto per un racconto si SF, peraltro abusato. Continuate pertanto a darmi del presuntuoso, non mi offendo mica. Nel frattempo sarei felice d’essere smentito.
1 Sono anche abbastanza presuntuoso da dover specificare che no, non sono uno scienziato… 🙂
2 O di bypassarla attraverso i wormhole, che tutti sono bravi a teorizzare, ma che nessuno ha la più pallida idea di come realizzare e gestire.
3 ci sono tante di quelle testimonianze di UFO Crash sparse nel mondo che il sospetto è che i dischi volanti li fabbrichino degli omini verdi pagati in nero e con poca voglia di lavorare.
4) Per mangiarli? per ingravidarli? per schiavizzarli? ma non era più semplice costruire dei robot che provvedessero a tutti questi bisogni?
Margaret Atwood, L’Ultimo degli Uomini
Margaret Atwood (Autore), R. Belletti (Traduttore), Copertina flessibile: 303 pagine, Editore: TEA (29 ottobre 2009), Collana: Teadue
Per qualche strano motivo in vita mia ho letto pochissimi libri scritti da autrici del gentil sesso (definizione abusata, ma scrivere donne o femmine mi suonava cacofonico). Non ho granché voglia di spiegare questa anomalia, anche perché non credo di avere argomenti sufficientemente validi a mio discapito. Dico soltanto che, generalmente (e colpevolmente), associo la narrativa femminile ai quei generi dai quali mi tengo volentieri a debita distanza: young adult, saghe varie, trilo/quadrilogie assortite, triller piccanti e porno patinati.
E siccome nel 99% delle cose che leggo tengo conto della storia e non chi l’ha scritta (salvo POI appassionarmi a questo o quello scrittore), ecco spiegato in buona sostanza il motivo per cui ho avuto così poco a che fare con signore scrittrici.
Detto questo, vista la mia passione (ossessione?) per i romanzi ad ambientazione pre e post apocalittica, mi sono imbattuto in questo L’Ultimo degli Uomini, della scrittrice canadese Margaret Atwood. Continua a leggere
Aldous Huxley, Mondo Nuovo
Mondo Nuovo / Ritorno al Mondo Nuovo(Mondadori; Collana: Oscar classici moderni)
Haldous Huxley (autore); L. Gigli (Traduttore), L. Bianciardi (Traduttore)
Avete presente il mantra con il quale il premier Enrico Letta cerca di venderci come fenomenale e fantasmagorico il suo primo anno di governo? “Stabilità, stabilità, stabilità…”
Bene, mi è capitato di ascoltare su Radio Rai 3 il programma “Aldous Huxley raccontato da Tommaso Pincio”, basato su un testo che lo scrittore romano aveva già pubblicato sul suo blog e che io avevo già letto. Tuttavia, soltanto dopo averlo ascoltato alla radio sono stato colpito da questa affermazione , riguardante il romanzo Il Mondo Nuovo, scritto nel 1932: “I cittadini sono condizionati geneticamente per occupare serenamente il proprio posto, il governo fornisce loro la droga di cui hanno bisogno, più una quantità considerevole di svaghi e Servizi di Solidarietà che si risolvono in vere e proprie orge. L’unico problema è che in nome dei valori «Comunità, identità, stabilità», la solitudine e il pensiero individuale sono banditi e puniti con l’esilio.“. E qui tralascio le considerazioni politiche del caso…
Ho letto Il Mondo Nuovo (Brave New World) una ventina d’anni fa quando, poco più che maggiorenne (e culturalmente poco attrezzato per affrontare questo tipo di letture), divorai tutta una serie di romanzi distopici, a partire dai più conosciuti Fahrenheit 451 e, soprattutto, proprio quel 1984 di Geoge Orwell che oggi, tra NSA, Facebook, Google, Reality e Smartphone, è citato quale testo profetico del nostro presente.
Se 1984 e Fahrenheit 451 hanno comunque un valore letterario superiore rispetto al Mondo Nuovo (e infatti sono enormemente più conosciuti, letti, studiati), nel romanzo di Huxley troviamo tutta una serie di spunti decisamente originali, soprattutto se si considera il periodo in cui è stato scritto. E poi ha il merito di essere stato pubblicato prima degli altri due, e di aver in un certo senso inaugurato e dato rispettabilità letteraria al romanzo distopico.
Tra i vari temi toccati nel racconto, troviamo quello della selezione e manipolazione genetica, e nel 1932 mancavano ancora una ventina d’anni alla scoperta del DNA. Si parla di droghe, o comunque di psicofarmaci diffusi in modo massiccio e capillare, e utilizzati come panacea di tutti i mali. Si parla di suddivisione della popolazione in caste, con sviluppo piramidale delle stesse, e troviamo in cima alla piramide un numero ristretto di persone ricche, belle, viziate e per le quali tutte le classi inferiori “lavorano”. Ma le classi inferiori non soffrono questa situazione, in quanto la loro inferiorità viene determinata geneticamente, mentre dalla loro vita la sofferenza viene tenuta a debita distanza grazie alla droga, al lavoro leggero, al sesso libero, diffuso, senza limiti e inibizioni, e incoraggiato fin dall’infanzia.
Insomma, senza voler svelare troppo a chi il romanzo non l’ha ancora letto, si tratta di una vera e propria allegoria del nostro presente, il ritratto di una dittatura non violenta e quasi democratica, ma pur sempre totalizzante e estrema. Allegoria scritta, ribadisco, nel 1932.
Bellissimo il finale, nella sua estrema drammaticità.
Se non lo avete ancora letto, fatelo quanto prima. Tornerete qui a ringraziarmi.
Il Funerale
Il corteo funebre si dipanò per le vie del villaggio, con al seguito i pochi coloni rimasti. Un misero assembramento di vecchi testardi, accompagnati dai propri figli e con i nipoti condotti per mano.
Era giunto il momento di salutarne un altro. In quell’anno la comunità registrò una manciata di dipartite e, fortunatamente, qualche nuova nascita. La situazione era stabile. Le provviste erano sufficienti, e le colture sembravano reggere alle avversità.
Avevano bisogno d’aiuto, di un sostegno. Ma la terra d’origine aveva perso interesse nei loro confronti, e quei pochi coloni dovevano fare affidamento esclusivamente sulle loro forze. Ce la mettevano davvero tutta, ed era già un miracolo se una terza generazione era riuscita a vedere la luce tra quelle lande desolate.
Primo, di nome e di fatto, in quanto primo a posare piede da quelle parti, aveva scelto di andarsene da sveglio. Il male era giunto ormai a uno stadio terminale, gli mancava qualche settimana da vivere, forse qualche giorno, ma non voleva starsene fermo ad aspettare la morte. Le sarebbe andato incontro. I medicinali facevano il loro dovere. Non sentiva dolore. La sua mente era lucida.
Si fece rinchiudere dentro un sarcofago con oblò. Voleva assistere alla sua dipartita. Voleva guardare la morte in faccia, affrontare le fiamme senza paura. Voleva ritornare cenere. Voleva tornare a casa.
Imbarcarono il feretro nel vascello, e lui li vide piangere e salutarlo, in quel funerale senza religione e senza Dio.
La bara penetrò l’orbita terrestre pochi giorni dopo. Venne ridestato dal sonno indotto artificialmente. Vide il mare, le nuvole e la terra ferma. La temperatura salì vertiginosamente, ma non poteva sentire dolore. Mancò l’aria, le lacrime evaporarono e l’ultima cosa che vide fu la luce intensa delle fiamme. In quella discesa luminosa divenne cenere, e come cenere tornò a casa.
Il bambino vide la stella cadente attraversare il cielo, illuminandolo. Espresse un desiderio. Sarebbe voluto diventare un’astronauta. Volare nello spazio fin sulla Luna.
Lì avrebbe trovato qualcuno ad aspettarlo.
Alessandro Bertante – Nina dei Lupi
Devo ancora decidere quale considerare il migliore dei due: questo “Nina dei Lupi” di Bertante, o “L’Uomo Verticale” di “Davide Longo”. Prenderò una decisione entro la fine della recensione.
Il raffronto nasce dal fatto che i due romanzi, benché diversi, sembrano costruiti lungo la stessa linea temporale. Nina dei Lupi può essere letto infatti come il seguito de L’Uomo Verticale.
Il romanzo di Longo è ambientato nel mezzo della prima ondata di barbarie seguita ad uno sconvolgimento sociale che ha di fatto annichilito istituzioni e forze dell’ordine. Le vicende narrate da Bertante invece si svolgono qualche anno dopo ed ha per protagonisti alcuni abitanti di un paesino di montagna volutamente isolati dal resto del mondo. Un mondo ormai in rovina.
In entrambi i romanzi i sopravvissuti dovranno difendersi dalle bande di violenti, scendendo a compromessi con la loro natura pacifica.
Quello di Longo è in gran parte un romanzo “on the road”, mentre Bertante concentra l’ambientazione in mezzo alla natura, tra le montane, con le sue leggende e i suoi riti ancestrali.
Il protagonista de “L’Uomo Verticale” è una persona qualsiasi, un intellettuale, che durante lo svolgersi degli eventi dovrà imparare a sopravvivere, abdicando alla propria natura pacifica e passiva. I personaggi di Bertante invece hanno qualcosa di eroico e mitologico.
In breve la trama de “Nina dei Lupi”: a seguito di un cataclisma che ha sprofondato il pianeta (o quantomeno l’Italia) nell’anarchia e nella barbarie, alcuni abitanti di un paese di montagna vivono in perfetto isolamento dal resto del mondo. Tra questi una bambina in procinto di diventare donna; una sorta di eremita della montagna con passato cittadino; una sopravvissuta che si farà plasmare dalla natura; una banda di predoni inclini alla violenza estrema; e i lupi, i padroni della montagna.
Due bei romanzi, due letture consigliate. Ma quello di Longo mi è piaciuto di più…
Ken Hollings – Benvenuti su Marte
Ho come l’impressione che in questo libro non siano state tradotte le note a piè di pagina. Più che un saggio, si tratta di un ammasso di nomi, fatti, citazioni cinematografiche e rimandi che dovrebbero dimostrare tutto e invece non dimostrano niente.
Si fa una fatica immane a portare avanti la lettura. La tesi, che poi viene dimostrata a fatica, è che a quanto pare negli anni 50, negli Stati Uniti d’America, sono state poste le basi del futuro. Un futuro fatto di splorazione spaziale, consumismo, droghe, esperimenti su cavie umane, esplosioni atomiche, film di serie B, edilizia residenziale… tutto fa brodo. Un minestrone indigesto per dire che negli anni 50 la paranoia ha portato la maggiore potenza planetaria a compiere degli abusi.
Tutto qui? Si, tutto qui.
Rivelazioni clamorose non ce ne sono. Approfondimenti scientifici neanche. Decine invece le trame e le citazioni su paradigmatici film fantascientifici, che in teoria dovrebbero svelare chissà cosa. Forse che si aveva paura del comunismo? Sai che scoperta!
E poi: la traduzione. Chiaramente il traduttore non conosce la materia di cui scrive. Tanto per fare un esempio, il Laboratorio della Propulsione a Getto, non è altro che il JPL, o Jet Propulsion Laboratory, che tutti, nel mondo, conoscono così, con il suo bel nome inglese. Così come tutti conoscono il MIT, o Massachusset Institute of Technology, e nessuno si sognerebbe di tradurlo in Istituto della tecnologia del Massachusset (e questo per fortuna ci viene risparmiato).
L’unico modo per trarre profitto dalla lettura di questo libro consiste nel tenerlo aperto come traccia, o come indice, non alfabetico, di nomi e fatti, da approfondire su wikipedia o altra fonte di informazioni.
Non c’è altro da aggiungere.
Davide Longo – L’Uomo Verticale
Gran bel romanzo questo L’Uomo Verticale di Davide Longo, giovane scrittore italiano che – devo ammetterlo – non avevo mai sentito nominare, e di cui sono venuto a conoscenza grazie a una breve recensione pubblicata da Giuseppe Genna nel suo Blog.
L’Uomo Verticale somiglia a una sorta di prequel italico de La Strada, il capolavoro apocalittico scritto da Cormac McCarthy. Anche qui non si capisce quale catastrofe o quale sconvolgimento politico o sociale abbia fatto precipitare gli eventi, chi o che cosa abbiano condotto l’Italia a diventare una terra in preda alla barbarie, alla disperazione e al degrado. Qualcosa si intuisce, ma da’altra parte come in La Strada, non è importante cosa sia successo prima, ma come abbiano reagito dopo i personaggi sui quali è costruita la storia.
Il protagonista del romanzo è uno scrittore e docente universitario, una persona mite la cui esistenza è stata macchiata da uno scandalo che ha distrutto la sua famiglia. Dopo alcuni anni passati in solitudine nel suo piccolo paese d’origine, Leonardo, antieroe per antonomasia, si troverà ad affrontare situazioni terribili. Ritroverà una figlia dalla quale si era allontanato anni prima, e dovrà cercare di proteggere lei e il suo ambiguo fratellastro preadolescente, costretti ad affrontare situazioni di violenza estrema, in una escalation continua che accompagnerà il lettore verso un finale poetico e commuovente.
Se La Strada di McCarthy è un capolavoro, e lo è, L’Uomo Verticale di Davide Longo è un piccolo/grande gioiello della narrativa italiana contemporanea, al quale auguro un meritato successo internazionale.
Bellissimo.
Aggiornamento
Il successo internazionale alla fine è arrivato. Sono infatti disponibili su Amazon le edizioni Inglese (Last Man Standing), Francese (L’homme vertical:Traduit de l’italien par Dominique Vittoz (La cosmopolite)) e tedesca (Der aufrechte Mann) de “L’uomo verticale”. Sono stato un buon profeta.
Tullio Avoledo – L’Anno Dei Dodici Inverni
Le storie riguardanti i viaggi nel tempo non mi sono mai piaciute granché. Vanno sempre a finire con la risoluzione di questo o quel paradosso. Per fortuna Avoledo, in questo L’Anno Dei Dodici Inverni, al contrario di Mare di Bering, L’Elenco Telefonico di Atlantide e Lo Stato Dell’Unione, ci risparmia il solito finale a sorpresa, lasciando che il racconto termini nel modo più scontato e onesto.
La storia è quella solita di un uomo di mezza età, o prossimo alla, che viene colto dalla passione per una giovane donna. Con annessi e connessi: moglie tradita, storia sofferta, rimpianti, sensi di colpa, ecc.
Ne L’ADDI le tematiche fantascientifiche si concentrano nella seconda parte del romanzo, ritagliandosi uno spazio maggiore rispetto ai precedenti lavori di Avoledo. Divertenti ma poco plausibili le pagine che descrivono il credo religioso basato sulla figura di Philip K. Dick.
Ho apprezzato maggiormente La Ragazza di Vajont e gli altri tre titoli citati in apertura, tuttavia anche L’ADDI rimane tutto sommato un gran bel romanzo, mai noioso, lungo il giusto e scritto magistralmente.