Ottimo, sorprendete romanzo d’esordio questo Febbre, della giovane scrittrice cinoamericana Ling Ma.
Scritto prima della pandemia da corona virus, Febbre descrive un mondo pre e post apocalittico molto simile a quello che abbiamo tristemente imparato a conoscere.
Una pandemia generata da una febbre cinese – la “Febbre di Shen”, di probabile origine fungina – trasforma gli infetti in zombie. Non si tratta tuttavia degli Walking Dead cannibali ai quali cinema, tv, fumetti e best seller assortiti ci hanno abituato. Gli zombi immaginati da Ling Ma sono persone che, una volta contratta la malattia, iniziano a manifestare sintomi simili all’Alzheimer, fino a sprofondare progressivamente in una sorta di stato ipnotico in cui ripetono all’infinito alcuni gesti tipici della loro quotidianità (preparare la cena e apparecchiare la tavola, ad esempio), finché il loro corpo si consuma definitivamente e smette di “funzionare”.
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Lawrence Wright, Pandemia
Cosa poteva leggere un appassionato di fantascienza distopica e apocalittica durante il lockdown decretato la scorsa primavera? Un romanzo che si intitola, appunto, Pandemia, scritto poco prima dell’avvento del SARS-COV-2 da Lawrence Wight, autore statunitense già Premio Pulitzer.
Il romanzo anticipa in maniera dettagliata praticamente tutto quello a cui siamo andati in contro, e che continuiamo a vivere ancora oggi. Dal distanziamento sociale, all’uso delle mascherine, dalla carenza di posti nelle terapie intensive alle politiche di lockdown. Poi però nel romanzo le cose peggiorano, e di brutto, a causa degli elevati tassi di mortalità e contagiosità del virus immaginato da Wight. Non solo: a un certo punto anche le grandi potenze mondiali, colla situazione totalmente fuori controllo, iniziano a guardarsi in cagnesco, e ad abbaiare…
Il protagonista è il Dottor Henry Parsons, epidemiologo di fama mondiale, il cui handicap fisico non gli ha impedito di costruirsi una carriera prestigiosa e mettere su una tipica e stereotipata famiglia americana, con figlia teenager ribelle e fratellino rompiscatole. E sono proprio le vicende della famiglia, rimasta negli Stati Uniti, a fare da contraltare alla missione impossibile che il Dottor Parsons dovrà affrontare in giro per il mondo: trovare l’origine del virus e, cercare una possibile cura ed evitare che politici e governanti mandino tutto a putt ramengo. Continua a leggere
Alessandro Bertante, Pietra Nera
Secondo volume della Trilogia del Mondo Nuovo di Alessandro Bertante, Pietra Nera esce a otto anni di distanza da Nina Dei Lupi (finalista allo Strega nel 2011), e precede un romanzo non ancora scritto, ma di cui già si conosce il titolo: L’Armata a Cavallo.
Pietra Nera è ambientato vent’anni dopo gli eventi narrati in Nina dei Lupi (recensione), e ha per protagonista Alessio, giovane guerriero figlio di Nina, “mistica” eroina del primo romanzo. Alessio ha una missione da compiere, missione di cui soltanto nelle ultime pagine scopriremo il fine ultimo, e che lo porterà a lasciare Piedimulo, discendere le montagne in groppa al suo mulo Ombra, attraversare la Pianura Padana e ciò che resta di una Milano post apocalittica, e raggiungere infine il paese di Pietra Nera, nell’Appennino.
Durante il viaggio verrà accompagnato da una giovane e bellissima ragazza, Zara, che lui salverà e con la quale instaurerà un rapporto speciale. Non mancheranno i pericoli, spesso mortali, rappresentati da una natura che ha di nuovo preso il sopravvento, e dalle orde di barbari che seminano morte e distruzione in ciò che è rimasto del Nord Italia dopo La Sciagura. Continua a leggere
Gianni Tetti, Il Grande Nudo
Dopo aver letto, abbastanza casualmente, il romanzo Mette Pioggia di Gianni Tetti, ed esserne rimasto piacevolmente colpito, ho voluto approfondire l’opera di questo autore mio conterraneo, col quale condivido città di nascita e passione per il genere distopico e apocalittico. Ho optato naturalmente per il suo romanzo successivo, Il Grande Nudo, nel momento in cui scrivo la sua ultima pubblicazione, testo che è stato candidato ufficialmente durante la settantunesima edizione del Premio Strega. Mi è piaciuto? Si, mi è piaciuto. Ci tengo a dirlo subito e a scanso di equivoci, perché da questo momento in poi ne illustrerò quelli che a molti potrebbero sembrare dei difetti.
Prendiamo Mette Pioggia, il suo romanzo precedente, innaffiamolo con la benzina, mettiamo un petardo al suo interno, incendiamolo e facciamolo esplodere. Avremo così Il Grande Nudo: romanzo deflagrante che riporta più o meno le stesse tematiche, gli stessi personaggi, gli stessi luoghi del romanzo precedente, ma elevati all’ennesima potenza. Con, ancora più evidente, un unico principale protagonista: la crudeltà umana, maschile, italiana, sarda. Continua a leggere
Extinction, di Ben Young, con Michael Peña e Lizzy Caplan
No, non definirò questo film l’ennesima fantamerda prodotta da Netflix. Primo, perché alla fine il film lo si vede tutto, e non è difficile resistere alla tentazione di cambiare canale (o, meglio, interrompere lo streaming). Secondo, perché cerco sempre di evitare i giudizi tranchat, anche se talvolta la tentazione è forte.
Extinction è un B-Movie di genere fanta-apocalittico, impreziosito dalla presenza di un paio di attori celebri: Michael Peña e Lizzy Caplan. Per quanto i due siano relativamente famosi, la loro prova risulta perlopiù anonima. Peña mantiene la stessa espressione per tutto il film, e benché ciò potrebbe avere un senso dal punto di vista della sceneggiatura, non credo lui lo faccia apposta. Pure la Caplan risulta abbastanza inespressiva, e sembra costantemente impegnata a farci notare i suoi occhioni perfettamente truccati, anche sotto le bombe. Ma si sa: Peña sa interpretare discretamente soltanto il ruolo di soldato/poliziotto latinoamericano, mentre alla Caplan vengono bene le commedie. Sconosciuto Ben Young, il regista.
La storia parrebbe l’ennesima riproposizione del tema dell’invasione aliena, condita con un pizzico di parapsicologia e ambientata in un poco originale contesto urbano/apocalittico. Continua a leggere
Gianni Tetti, Mette Pioggia
Nel mio continuo lavoro di approfondimento del genere distopico/apocalittico di matrice italiana, ho scovato questo piccolo capolavoro scritto nel 2014 da un giovane autore e sceneggiatore sardo, Gianni Tetti, anche lui nato a Sassari qualche anno dopo il sottoscritto. Proprio a Sassari sono ambientate le vicende narrate in questa strana apocalisse. Una Sassari cattiva, polverosa, infetta, lenta, silenziosa.
Mette Pioggia è un romanzo corale che narra l’apocalisse incrociando i punti di vista dei tanti personaggi che lo popolano. Personaggi inizialmente slegati tra loro, ma le cui vite si incastrano come le tessere di un puzzle. Tra di loro spicca l’assenza di eroi o persone speciali: sono proprio le storie di questi anonimi personaggi a introdurre un’apocalisse forse climatica o forse peggio, che se ne sta tranquilla sullo sfondo, lasciando che i protagonisti vivano i loro drammi e si abbandonino ai ricordi allucinati e infetti di un mondo giunto oramai alla fine. Continua a leggere
Giuseppe Genna, History
Articolo scritto per la rivista on line Andromeda, che differisce rispetto all’originale per l’ampia digressione autobiografica.
Sono riuscito nell’impresa non facile di portare a termina la lettura di History, l’ultima fatica letteraria di Giuseppe Genna. “Fatica” nel vero senso della parola, tanto che mi sento da subito di poter dire che History non è un romanzo per tutti, e tra questi ovviamente mi ci metto anch’io. Ma procediamo con ordine, con una mia breve digressione autobiografica.
È una vita che leggo un po’ di tutto in modo disordinato e caotico. Fino a quattordici divoravo manuali e libri illustrati per ragazzi. Intorno ai quindici anni è sbocciato l’amore per la narrativa, prevalentemente di genere fantascientifico. Ho passato un paio d’anni a leggere quasi esclusivamente romanzi e racconti di Isaac Asimov, per poi diversificare con Urania comprati a casaccio, i libri di Lovecraft e Poe, gli scrittori cyberpunk e l’opera omnia di Philip K. Dick. A un certo punto ho rallentato con il consumo smodato di narrativa di genere, spostando i miei interessi sul mainstream di provenienza anglosassone, con saltuarie incursioni nel beat e nel postmoderno. Continua a leggere
Luca Doninelli, Le Cose Semplici
Questo articolo è stato scritto originariamente il 5 gennaio 2016 e oggi – settembre 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.
Erano i primi giorni di novembre dello scorso anno quando, grazie a una semplice ricerca su Google, mi imbattei casualmente in questo romanzo. Sul momento non mi accorsi del fatto che si trattava di una nuova uscita, pubblicata da Bompiani da poco più di un mese, e visto lo scarso numero di recensioni su Amazon, oltre al fatto di non averne mai sentito parlare, pensai che probabilmente il libro non avesse avuto nessun successo commerciale e fosse stato snobbato dalla critica. Poco male: letta la sinossi decisi di scaricarne l’estratto.
Fin dalle prime righe notai che il libro era scritto benissimo , con uno stile semplice ma non per questo “povero”. Grazie a un’altra breve ricerca vengo a sapere che Luca Doninelli, giornalista che scrive su testate che solitamente non leggo, ha vinto in passato un Campiello e un Grinzane Cavour, il che non è detto sia una garanzia, ma insomma…
Finalizzai l’acquisto senza rendermi conto che si trattava di un mattone da 840 pagine. E per fortuna, aggiungo, altrimenti – spaventato dalla mole – avrei anche potuto lasciar perdere. Purtroppo non leggo più come una volta, e salvo vacanze e occasionali tempi morti, mandar giù 840 pagine leggendo esclusivamente a letto e durante qualche altro momento intimo sul quale è meglio non dilungarsi, equivale a dire che ci sarebbe voluto grossomodo un mese e mezzo per arrivare all’ultima pagina.
Invece ci sono voluti meno di trenta giorni e alla fine non s’è rivelata, tutto sommato, una lettura faticosa. Vero è che su Facebook mi ricordo di aver scritto un “Ma che fatica!”, riferito alle prime 3/400 pagine, ma s’è trattato di un’esclamazione dettata dall’aver perso l’abitudine ad affrontare romanzi così lunghi.
Il libro è scritto in forma di quaderni di memorie, con capitoli brevi e spesso scollegati l’uno dall’altro, se non con i rimandi affidati ai ricordi del protagonista/narrantore.
Provo a sintetizzare la storia: ci troviamo in un futuro apocalittico – ambientato inizialmente a Milano e Parigi, e dalla metà in poi in gran parte negli USA -, grossomodo a ventidue anni da oggi, in una Terra che deve fare i conti col crollo della civiltà dovuto all’evoluzione iperbolica dell’attuale crisi economica. Crisi che sfocerà in un progressiva quanto repentina interruzione delle trasmissioni audio e video, delle comunicazioni, dell’erogazione di elettricità, della disponibilità di petrolio e carburanti. Seguiranno un breve periodo in preda alla barbarie e una successiva stabilizzazione verso una convivenza pacifica ma non priva di rischi. Questa è l’ambientazione, ma il romanzo in realtà racconta soprattutto la storia d’amore tra il protagonista e un genio della matematica: una ragazza francese di famiglia strettamente cattolica, appena quindicenne nel giorno del loro primo incontro. Lui giovane laureato di estrazione borghese e lei già docente alla Sorbona. Storia d’amore che li condurrà all’altare non appena lei raggiungerà la maggiore età, e interrotta pochi anni dopo dal sopraggiungere improvviso dell’apocalisse.
“Ci fu un preciso momento (nessuno saprebbe dire quale) in cui quelli che avevano pensato di controllare il mondo decisero di mandarlo al diavolo”
Lei si ritroverà da sola negli Stati Uniti, e li darà il via a una sorta di utopia grazie alla quale la civiltà potrà continuare – forse – ad avere un futuro, mentre lui nel frattempo si trova intrappolato in una Milano in rovina, tra orrori e barlumi di speranza. Qui inizierà a scrivere i suoi quaderni, nei quali racconterà le vicende della sua famiglia (romanzo nel romanzo), della sua relazione con una ragazza anch’essa conosciuta da bambina, figlia di una sua ex amante, poi ritrovata adulta dopo l’apocalisse e con la quale concepirà un figlio: non l’unico…
Se vado avanti rischio di rivelare troppe cose, ma va detto che Le Cose Semplici non è un solo romanzo: sono tante storie, tante vite, tanti dialoghi sapientemente e magnificamente costruiti. Dialoghi che trattano di letteratura, religione, filosofia, politica. Dialoghi caratterizzati da una sottile ironia di fondo, a tratti spassosa.
Non è facile per me recensire questo libro: i temi trattati sono così tanti e così “importanti” che potrei non avere una preparazione culturale sufficiente per scriverne come si deve.
Ho letto qualche altra recensione de Le Cose Semplici. Qualcuno è arrivato a dire che è il romanzo italiano più importante del 2015. E siccome, nonostante l’autore non sia uno scrittore di genere, si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di fantascienza distopica (ma anche, come già detto, utopica), mi sembra strano, molto strano, che nell’ambiente della SF nostrana non se ne sia parlato per nulla.
Dimenticavo: preso dall’entusiasmo mi sono scordato dei difetti, che pure ci sono. Uno su tutti il finale, carino ma non all’altezza del resto. E poi ho trovato eccessiva la brevità delle storie narrate nelle ultime cento pagine. Ma su questi due punti si può e si deve sorvolare.
Nicolò Ammaniti, Anna
Questo articolo è stato scritto originariamente il 28 ottobre 2015 e oggi – agosto 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.
Chiariamolo subito: questa è pura e semplice Fantascienza. Certo non fantascienza hard, di quella che chi è poco avvezzo alla materia di solito s’immagina caratterizzata dai soliti luoghi comuni: gli alieni, le astronavi spaziali, la matrice, i mutanti con i super poteri e le macchine che volano. Ma come volete chiamare – voi critici che sapete tutto – un romanzo dove un virus stermina l’umanità intera e risparmia i bambini? Dico questo perché sia l’Autore (comprensibilmente, poi spiego perché), sia tutti i recensori con la puzza sotto il naso hanno fatto di tutto per evitare di includere questo romanzo in quel genere narrativo che in Italia uccide sul nascere ogni speranza di successo commerciale: la Fantascienza, appunto. E mentre a uno scrittore che campa dalle vendite dei propri libri tale rimozione – più o meno inconscia – può essergli perdonata, non si capisce perché chi recensisce sui grandi quotidiani nazionali e in TV eviti di pronunciare la parola Fantascienza, quasi come una bestemmia in chiesa. Tipico atteggiamento marchettaro italiota, immagino. In aggiunta, si può dire che qui da noi la SF, a parte quella nobile anglosassone, non se la fila quasi nessuno, salvo qualche rara eccezione, spesso rappresentata dai soliti finti-intellettualoidi che citano Dick senza averlo mai letto.
Fine dell’introduzione polemica.
Ricominciamo daccapo: Anna è un romanzo di fantascienza apocalittica… molto bello: giudizio a bruciapelo che mi sento di spendere subito. La storia è ambientata in Sicilia, in un futuro prossimo socialmente e tecnologicamente indistinguibile dal nostro presente. Una variante del virus dell’influenza, che causa una malattia mortale chiamata la Febbre Rossa, ha apparentemente sterminato l’intera popolazione adulta del pianeta. Dico apparentemente perché i sopravvissuti, tutti giovani ragazzi e bambini, immuni al contagio fino alla pubertà, ignorano cosa ci sia dall’altra parte dello Stretto di Messina. Ciò che è certo è che non viene più erogata l’energia elettrica e di conseguenza non funziona qualsiasi forma di comunicazione basata sulla tecnologia, il che rende impossibile capire cosa stia succedendo nel resto del pianeta. La protagonista, che presta il nome al titolo del romanzo, è Anna, adolescente in fase prepuberale, dal carattere forte, intelligente e dotata di quel minimo di istruzione – lascito di una madre saggia e consapevole – che si rivelerà indispensabile per sopravvivere nel nuovo mondo. Insieme a suo fratello Astor e all’amico Pietro, i tre cercheranno di attraversare la Sicilia, evitando le comunità di violenti ragazzini adoratori della Picciridduna, sorta di divinità feticcio dai poteri miracolosi, e il branco di bambini cacciatori, ancora più piccoli e dal linguaggio primitivo.
Nel lungo viaggio on the road attraverso l’isola sicula, Anna, coraggiosa e determinata come la quasi omonima Hanna cinematografica (interpretata da Saorsie Ronan e alla quale Ammaniti pare essersi ispirato non poco), dovrà ricorrere a tutte le sue forze fisiche e psichiche per sopravvivere in un mondo di macerie e violenza, difendere al contempo il fratello psicologicamente debole, e cercare di approdare in terra di Calabria, alla ricerca di qualche “adulto” o di quello che, rivelatole segretamente, potrebbe essere il bizzarro antidoto alla Febbre Rossa.
Il libro è lungo il giusto e si legge bene, e non viene mai voglia di interrompere la lettura. Un certo umorismo fa da sfondo alla vicenda, a tratti drammatica e mai volgare. Il finale è molto bello, da pelle d’oca. Infine, l’hanno detto tutti e lo dico anch’io, evidenti sono i riferimenti al Signore delle Mosche di Golding e a The Road di McCharty. Aggiungo una curiosità: a un certo punto c’è un passaggio nel romanzo che sembra copiato spudoratamente da una scena del film The Signs, di M. Night Shyamalan. Ma credo di averlo notato soltanto io…
Luca Doninelli, Le Cose Semplici
Ho scovato questo romanzo grazie a una ricerca su Google. Dallo scarso numero di recensioni su Amazon, oltre al fatto di non averne mai sentito parlare, deduco che probabilmente il libro non ha avuto successo commerciale. Poco male: leggo la sinossi e decido di scaricarne l’estratto. Fin dalle prime righe mi rendo conto che è scritto benissimo, in prima persona, con uno stile semplice ma non per questo “povero”. Leggo in rete che Luca Doninelli, giornalista che scrive su testate che solitamente non leggo, ha vinto in passato un Campiello e un Grinzane Cavour, il che non è detto sia una garanzia, ma insomma…
Finalizzo l’acquisto senza rendermi conto che si tratta di un mattone da 840 pagine. E per fortuna, aggiungo, altrimenti – spaventato dalla mole – avrei anche potuto lasciar perdere. Purtroppo non leggo più come una volta, e salvo vacanze e occasionali tempi morti, mandar giù 840 pagine leggendo esclusivamente a letto e seduto sulla tazza equivale a dire che ci vorrà un mese e mezzo per arrivare all’ultima pagina.
Eppure non s’è rivelata, tutto sommato, una lettura faticosa. Vero: su facebook mi è capitato di scrivere un “Ma che fatica!”, riferito alle prime 3/400 pagine, ma s’è trattato di un’esclamazione dettata dalla mia scarsa abitudine ad affrontare romanzi così lunghi, nulla più.
Il libro è scritto in forma di diario, con capitoli brevi e spesso scollegati l’uno dall’altro, se non con i rimandi affidati alla memoria del protagonista narrante.
Provo a sintetizzare la storia: ci troviamo in un futuro apocalittico – ambientato inizialmente a Milano e nella seconda metà in gran parte negli USA -, grossomodo a ventidue anni da oggi, in un futuro che fa i conti col crollo della civiltà dovuto alla progressione iperbolica dell’attuale crisi economica. Crisi che sfocerà in un progressiva quanto repentina interruzione delle trasmissioni audio e video, delle comunicazioni, dell’erogazione di elettricità, della disponibilità di petrolio e carburanti. Seguiranno un breve periodo in preda alla barbarie e una successiva stabilizzazione verso una convivenza pacifica ma non priva di rischi per i superstiti intenti a sopravvivere. Questa è l’ambientazione, ma il romanzo in realtà racconta soprattutto la storia d’amore tra il protagonista e un genio della matematica: una ragazza francese di famiglia strettamente cattolica, appena quindicenne nel giorno del loro primo incontro. Lui giovane laureato e lei già docente alla Sorbona. Storia d’amore che li condurrà all’altare non appena lei compirà diciotto anni, e interrotta pochi anni dopo dall’avverarsi improvviso dell’apocalisse.
“Ci fu un preciso momento (nessuno saprebbe dire quale) in cui quelli che avevano pensato di controllare il mondo decisero di mandarlo al diavolo”
Lei si ritroverà da sola negli Stati Uniti, e li darà il via a una sorta di utopia grazie alla quale la civiltà potrebbe continuare – forse – ad avere un futuro, mentre lui nel frattempo si trova a Milano, una città in rovina, tra orrori e barlumi di speranza. Qui inizierà a scrivere i suoi quaderni, nei quali racconterà le vicende della sua famiglia (romanzo nel romanzo), della sua relazione con una ragazza anch’essa conosciuta da bambina, figlia di una sua amante, e poi ritrovata adulta dopo l’apocalisse, con la quale concepirà un figlio: non l’unico…
Insomma, se vado avanti rischio di rivelare troppe cose, ma va detto che Le Cose Semplici non è un solo romanzo: sono tante storie, tante vite, tanti dialoghi sapientemente e magnificamente costruiti. Dialoghi che trattano di letteratura, religione, filosofia, politica. Dialoghi caratterizzati da una sottile ironia di fondo, a tratti spassosa.
Non è facile per me recensire questo libro: i temi trattati sono così tanti e così “importanti” che penso di non avere una preparazione culturale sufficiente per scriverne come si deve.
Ho letto qualche altra recensione de Le Cose Semplici. Qualcuno è arrivato a dire che è il romanzo italiano più importante del 2015. E siccome, nonostante l’autore non sia uno scrittore di genere, si tratta a tutti gli effetti di un romanzo di fantascienza distopica (ma anche, come già detto, utopica), mi sembra strano, molto strano, che nell’ambiente della SF nostrana non se ne sia parlato per nulla.
Dovreste rimediare.
PS: preso dall’entusiasmo mi sono scordato dei difetti, che pure ci sono. Uno su tutti il finale, carino ma non all’altezza del resto. E poi ho trovato eccessiva la brevità delle storie narrate nelle ultime cento pagine.