Articolo scritto originariamente il 24 settembre 2014 e oggi, 20 marzo 2018, rivisto, attualizzato e riproposto.
Tanto per mettere subito le cose in chiaro: dopo aver letto Ready Player One si ha l’impressione di aver avuto a che fare con un megaspiegone galattico di 640 pagine. Per gli addetti ai lavori (non che io lo sia) lo spiegone è Il MALE, e lo è sia in ambito narrativo, dove può non essere semplice farne a meno, sia in ambito cinematografico, dove invece le immagini dovrebbero raccontare tutto, o quanto basta. Come avrebbe detto il buon Villaggio, dicesi spiegone o infodump quella spiegazione, solitamente lunga e pedante, che molti scrittori non molto attenti alla tecnica (indipendentemente dal fatto che riescano o meno ad avere successo) usano per illustrare senza troppe complicazioni sia il contesto storico, sociale e culturale nel quale è ambientata la storia, sia l’antefatto dal quale prendono il via le vicende narrate. Questo è il difetto numero uno di Ready Player One.
Il difetto numero due è rappresentato da quelle 640 pagine di cui sopra. Una bella sforbiciata qua e la non avrebbe fatto male, e per fortuna che io ho letto il romanzo in formato ebook, altrimenti temo che la mole eccessiva l’avrebbe presto condannato a sparire tra gli scaffali della mia libreria.
Ci sarebbe anche un difetto numero tre: l’irritante linguaggio adolescenzialfanciullesco usato dai protagonisti, traboccante di espressioni gergali del tipo “come butta?”, “amigo”, “fottiti”, “cazzone”, e via involvendo.
Fine dei difetti? No, ce ne sono altri, ma a questo punto devo spiegare perché nella recensione di Amazon ho assegnato a questo romanzo tre stelle su cinque, che sarebbero state tre e mezzo se avessi avuto la possibilità di assegnargli quel mezzo punto in più che secondo me meriterebbe.
Ready Player One era la scritta che compariva sul monitor all’inizio di ogni partita giocata nei videogiochi cabinati degli anni ottanta, subito dopo aver inserito il gettone nella feritoia. Nel titolo della prima versione italiana del romanzo venne inspiegabilmente eliminata la parola Ready: un crimine vero e proprio, visto che i soli due termini Player One non vogliono dire nulla e certo non ti riportano a quegli anni. Fortuna che, complice il titolo omonimo del film girato da Steven Spielberg, nella nuova edizione è stato ripescato il titolo originale.
Andiamo avanti. Ambientato nel 2044, in un futuro dove l’attuale crisi economica si è evoluta in una fantamegacrisi economica, l’umanità anziché perdere tempo su social oramai superati tipo Facebook o Twitter, spreca la propria esistenza su OASIS: una sorta di fusione tra Second Life (ve lo ricordate?) e i social network attuali. Una realtà virtuale immersiva dove, indossando i panni di un avatar solitamente non corrispondente nell’aspetto e nei modi all’utente che l’ha generato, ci si muove in mezzo a pianeti che riproducono fedelmente le ambientazioni di fantasia presenti in videogame, film, telefilm, fumetti. In pratica quello che prima o poi Zuckenberg proverà a fare con Facebook non appena il visore Oculus Rift raggiungerà le masse. OASIS non è soltanto questo: è anche istruzione, economia, finanza… Insomma, ci gira praticamente di tutto.
Il creatore di OASIS, James Halliday, è una sorta di ibrido tra Jobs, Zuckemberg, Page, Brin, Gates e Bezos, un po’ meno affascinante e un po’ più strano, se possibile (in pratica un nerd che più nerd non si può), cresciuto tra mille complessi in QUEGLI anni 80. Nei miei anni 80. Un classe 72, quindi un anno più grande del sottoscritto, e che come il sottoscritto ha passato l’infanzia in buona parte davanti alla TV o giocando ai videogame, visto che il mondo di fuori, per come se lo ricorda Halliday, era una merda (io però qualche partita a pallone per strada l’ho fatta…). E così delle 640 pagine, almeno 320 sono dense di gustosissime citazioni anni ’80: questa è la parte migliore del libro, la mezza stelletta in più rispetto alle tre scarse che avrebbe meritato. Le citazioni riguardano Film, Telefilm, Sit-Com, Cartoni, Manga, Fumetti, Videogames, Computer e Console, storia dell’informatica, pubblicità e tutta quella paccottiglia pop anni ’80 per la quale ancora oggi andiamo matti.
Il protagonista e narratore in prima persona è Wade Watts, dal nome allitterante come di solito si usa per gli eroi dei fumetti. Wade è un adolescente orfano e povero che vive in un cumulo di container, accudito da una zia distratta che l’ha adottato soltanto per intascarsi i contributi sociali. E mentre nel mondo reale Wade è NIENTE, su OASIS invece è Parzifal, un esperto di videogame che partecipa come Gunter al concorso indetto dal suo eroe, proprio quel James Halliday creatore di OASIS che, in quanto adolescente negli anni 80, ha mutuato tematiche e ambientazioni di quel periodo per organizzare una ricchissima caccia al tesoro. Il premio messo in palio da Halliday consiste infatti nella totalità del suo enorme patrimonio, OASIS compreso. Purtroppo a ostacolare la caccia di Wade/Parzifal e dei suoi amici Aech, Daito, Shoto e della misteriosa blogger Art3mis, di cui Wade è follemente innamorato, ci si mettono i cattivissimi e stereotipati Sixers, capitanati dall’irritante e altrettanto stereotipato Nolan Sorrento. Ricchi e cattivi (e col cognome italiano/mafioso) contro poveri e simpatici, come da tipica retorica teenage movie.
Lo spessore drammatico in tutta la vicenda è decisamente impalpabile però, miracolo, una volta fatto il callo con le freddure e i modi di dire di cui ho già parlato, ne viene fuori una lettura divertente, che incredibilmente si riesce a portare avanti senza fatica per tutte le 640 pagine.
Un cenno sull’autore, Enrest Cline: fino a pochi anni fa perlopiù sconosciuto, ha sceneggiato il film Fanboys (che ho visto: carino) e ottenuto fama internazionale grazie a questo Ready Palyer One, romanzo che le case editrici si sono contese a suon di rilanci ancora prima che venisse ultimato. In America funziona così: si investe sulle idee. Ovviamente la storia è stata subito opzionata per il grande schermo, affidata alla sapiente regia di Steven Spieberg, mentre Cline ha partecipato alla stesura della sceneggiatura. E dai primi trailer sembrerebbe sia stato fatto un buon lavoro. Staremo a vedere.