Lettura leggera e divertente, quest’ultimo romanzo distopico della Atwood può essere sfogliato tranquillamente sotto l’ombrellone, in metropolitana, una pagina al giorno, mollato e ripreso. Scritto ottimamente e tradotto molto bene, senza inutili virtuosismi e pesanti approfondimenti, di questo libro si apprezzano in primo luogo l’ironia – a volte macabra – e il sense of humor della celebre scrittrice canadese, che ricordo è stata più volte candidata al Nobel, messi a disposizione di una trama semplice e lineare, con colpi di scena non troppo a effetto, e che qua e la pecca in verosimiglianza. Ma questo è voler spaccare il capello in quattro. Il romanzo risulta comunque godibile, capace – se non di stupire – almeno di strapparci qualche sorriso.
In in futuro abbastanza vicino al nostro presente, la crisi economica globale precipita vaste aree degli Stati Uniti d’America, soprattutto il Nord Est, in una situazione di degrado, pericolo costante e povertà estrema.
Stan e Charmaine hanno perso casa e lavoro e sono costretti a “vivere”, tra mille pericoli, a bordo della propria auto, lavandosi e mangiando quando possono. Charmaine riesce a racimolate qualche spicciolo col lavoro sottopagato di cameriera in un locale equivoco, mentre Stan prova a resistere alla tentazione di passare al malaffare, come invece ha fatto quella testa calda di suo fratello Connor, un piccolo boss immischiato giri strani e poco chiari.
Dopo aver visto una pubblicità in TV, Stan e Charmaine si convincono che una possibile svolta per la loro esistenza possa venire dall’ingresso nella città – con annessa struttura carceraria – di Positron/Consilience, dove, dopo aver superato tutta una serie di test, si diventa abitanti di un villaggio in stile anni 50, si riceve un lavoro, una casa confortevole, e degli scooter elettrici per gli spostamenti. Tutto molto bello, sennonché ogni mese ci si deve alternare con una coppia che rimarrà sconosciuta e che prenderà possesso del loro alloggio, mentre Stan e Charmaine si trasferiranno nel carcere di Positron, dove insieme al resto della popolazione carceraria dovranno svolgerne per un mese mansioni diverse, prima di poter tornare alla loro vita e alla loro casa. Altro dettaglio non trascurabile: una volta entrati a Consilience, non si può più uscire.
Questa, in sintesi, la trama principale, che la Atwood sfrutta per toccare altri temi: il sesso coi simulacri, più o meno “interattivo”, la riprogrammazione mentale, con relativa creazione di schiavi devoti (tema caro alla Atwood), e i giochi sporchi delle multinazionali, il tutto condito con una sotto trama da romanzetto rosa che comunque – strano ma vero – arricchisce e non rovina l’insieme.
Insomma, non un capolavoro imperdibile – la Atwood non verrà ricordata certo per questo romanzo – ma sicuramente, come già detto, una buona lettura.