Nel recensire il romanzo Nero come la notte, di Tullio Avoledo, in tanti hanno sottolineato come l’ultima fatica dello scrittore pordenonese rappresenti il suo esordio nel genere Noir, con conseguente e momentaneo accantonamento di quello fantascientifico. Ora, a parte il fatto che alcune lievi sfumature SF si colgono anche in questo romanzo – l’ambientazione e alcuni personaggi sono gli stessi della maggior parte dei suoi lavori precedenti – andrebbe detto che in realtà Avoledo aveva già fatto irruzione nel genere Noir con L’ultimo giorno felice, scritto nel 2008. Sempre che nel genere Noir non sia indispensabile la presenza di un protagonista appartenente, in un modo o nell’altro, alle forze di polizia. Fatta questa NON doverosa precisazione, posso dire che Nero come la notte è apparso ai miei occhi come un romanzo interlocutorio, di quelli che Avoledo scrive per riempire gli spazi tra un capolavoro e l’altro. Insomma, un parente stretto del già citato L’ultimo giorno felice (noir), Furland® (satira), Tre sono le cose misteriose (dramma politico), Un buon posto per morire (azione, scritto con Davide Dileo), e i romanzi della Metro 2033 Universe (fantazombeschi). Chiariamo: interlocutorio non vuol dire di bassa qualità. Tre sono le cose misteriose è un piccolo gioiello, ad esempio, e anche i romanzi della serie 2033 sono davvero buoni, per chi apprezza il genere. Tuttavia da parer mio il vero Avoledo non è questo, nonostante in Nero come la notte ritroviamo come protagonista il suo ennesimo alter ego cinico che delude le donne, che si fa corrompere da un mondo con valori diversi dai suoi e finisce per riscattarsi pur finendo in malora… Anzi, ora che ci penso, potrei definire Nero come la notte come una ricetta che mischia alcuni ingredienti tipici della cucina avolediana, e li serve su un piatto d’asporto comprato al fast food. Ma va bene così: ci si sazia lo stesso.
Fino ad ora non ho speso una parola sulla trama del romando. Vediamo di rimediare, in poche parole: Sergio Stokar è un ex poliziotto decaduto, nazista, razzista, tossico, violento. Valori e comportamenti che indossa come una divisa, ma che in realtà fanno da scudo a una morale fondamentalmente giusta. A seguito di un incidente di cui non conserva memoria, conseguenza di avvenimenti che ha rimosso completamente dai suoi ricordi, si ritrova a sopravvivere in un quartiere multietnico governato da immigrati, dove ricopre il ruolo di investigatore/poliziotto abusivo. Un microcosmo incapsulato in macrocosmo vagamente distopico governato da una destra razzista e corrotta, che Avoledo si diverte a prendere in giro, a modo suo. Tra il microcosmo multietnico e straccione e il macrocosmo razzista e benestante, saltano fuori i misteriosi omicidi di alcune giovani ragazze, omicidi per i quali i governatori delle Zattere, gli enormi palazzi in rovina nei quali vive la comunità multietnica che fa da sfondo alla storia, chiedono a Stokar indagare e trovare i colpevoli.
L’indagine finirà per far riemergere i ricordi sepolti nella sua memoria, insieme a collusioni e compromessi che non fanno distinzione tra buoni e cattivi. Romanzo divertente, caratterizzato da un buon ritmo, con dialoghi questa volta un po’ forzati, ma contraddistinti dal solito cinico umorismo di matrice avolediana. Lettura adatta a tutti: ammiratori e non…