Questo articolo è stato scritto originariamente l’27 maggio 2015 e oggi – maggio 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.
Sarò poco originale, ma anch’io non posso fare a meno di sostenere, come hanno fatto altri recensori, che questo romanzo deve molto, moltissimo ai classici distopici della prima metà del secolo scorso: Zamjatin, Huxley, Orwell e, poco dopo il 1950, Bradbury. Non solo: durante la lettura ho colto evidenti richiami alla fantascienza sociologica degli anni 60/70, alla Herry Harrison per intenderci, con chiari riferimenti ad alcune tematiche affrontate nel romanzo Largo! Largo!, dal quale è stato tratto il film cult con Charlton Heston “2022: I sopravvissuti“. Ipotizzo che Massimiliano Santarossa, l’ottimo autore di questo Metropoli, per la stesura del suo romanzo abbia attinto più o meno consapevolmente dal ricordo che conservava del film suddetto.
Vale la pena riassumere subito la storia. A seguito di un catastrofico e più volte citato collasso produttivo – una sorta di evoluzione iperbolica dell’attuale crisi economica – il mondo è piombato in un’irreversibile dissesto ambientale, economico e sociale. La temperatura media del pianeta è crollata, gli stati e le istituzioni sono collassati, la maggior parte delle specie viventi estinte. Sopravvivono nella miseria e nella barbarie pochi esseri umani, tormentati dal freddo e dalla fame.
L’unica speranza per chi prova a sopravvivere consiste nel tentare di raggiungere la città fortificata di Metropoli.
Il protagonista, di cui non si conosce il nome e che per tutta la narrazione è identificato come “L’Uomo“, riesce ad accedere a quella che inizialmente è descritta come una sorta di utopia egalitaria.
Dopo aver trascorso un periodo di quarantena in un’area adibita allo scopo, L’Uomo sarà progressivamente introdotto nel nuovo modello di sviluppo, nel quale ogni singola persona è identificata dal numero corrispondente alla popolazione totale della città al momento del suo ingresso (“cittadino numero 5.937.178” sarà il nuovo nome del protagonista), e come tale rappresenterà un nuovo ingranaggio produttivo di quell’enorme essere vivente che è Metropoli stessa.
“Noi siamo Metropoli” è la formula che vene pronunciata da chiunque come chiusura di ogni discorso, affermazione, ordine.
Lo sviluppo e la crescita di Metropoli comportano la rinuncia a tutto quello che è stato identificato quale concausa del crollo della civiltà. Una spersonalizzazione profonda unita all’abnegazione per il lavoro, a quella produzione di materie prime (Ferro, Legno, Plastica, Vetro), che consente a Metropoli di crescere senza sosta e dare nutrimento ai suoi abitanti. O a nutrirsi dei suoi abitanti?
L’Uomo incontrerà una Donna, e con lei dovrà scegliere se diventare Metropoli (letteralmente), o rimanere Uomo.
Scritto con linguaggio evocativo, nei dialoghi a volte fin troppo ricercato; ricco di metafore, sottintesi e speculazioni filosofiche, Metropoli si può leggere come un affresco di un possibile futuro (come ci si aspetta da un buon romanzo di fantascienza), o come un’allegoria del presente, soprattutto se si riesce a cogliere l’evidente richiamo alla realtà vissuta in certe periferie industriali, anche di casa nostra. Realtà estrapolate con maestria dai trascorsi dell’autore stesso.
Alcune immagini e descrizioni sono davvero forti, benché non tutte originalissime. Ciò che invece superficialmente può apparire come un costante ricorso all’infodump è, a mio modo di vedere, del tutto funzionale al racconto. E comunque il tutto è scritto molto bene.
Lettura consigliata, ma soltanto se avete voglia di impegnarvi. Dimenticate umorismo, turpiloquio, sesso, azione. Insomma, tutti quegli ingredienti che rendono una lettura banalmente “divertente”. Metropoli è altro, e merita.