Sarò poco originale, ma anch’io non posso fare a meno di sostenere, come hanno fatto altri recensori, che questo romanzo deve molto, moltissimo, alle distopie della prima metà del secolo scorso: Orwell, Huxley, Bradbury e Zamjatin. Non solo, durante la lettura ho colto evidenti rimandi alla fantascienza sociologica degli anni 60/70, alla Herry Harrison per intenderci, con chiari riferimenti ad alcune tematiche del romanzo Largo! Largo!, dal quale è stato tratto il cult con Charlton Heston “2022: I sopravvissuti“.
La storia.
A seguito di un catastrofico collasso produttivo, usa sorta di evoluzione iperbolica dell’attuale crisi economica, il mondo è piombato in un’irreversibile dissesto ambientale e sociale. La temperatura media del pianeta è crollata, gli stati e le istituzioni sono collassati, la maggior parte delle specie viventi estinte. Sopravvivono nella miseria e nella barbarie pochi esseri umani, tormentati dal freddo e dalla fame.
Unica speranza per chi tenta di sopravvivere è quella di raggiungere la città fortificata di Metropoli.
Il protagonista, di cui non si conosce il nome e che per tutta la narrazione viene identificato come “L’Uomo“, riesce ad accedere a quella che che inizialmente viene descritta come una sorta di utopia egalitaria. Dopo aver trascorso un periodo di quarantena in un’area adibita allo scopo, L’Uomo verrà progressivamente introdotto nel nuovo modello di sviluppo, nel quale ogni singola persona viene identificata dal un numero corrispondente alla popolazione totale al momento del suo ingresso (“cittadino numero 5.937.178” sarà il nuovo nome del protagonista), e come tale rappresenterà un’ingranaggio di quell’enorme essere vivente che è Metropoli stessa.
“Noi siamo Metropoli” è la formula che vene pronunciata come chiusura di ogni discorso, affermazione, ordine.
Lo sviluppo e la crescita di Metropoli comporta la rinuncia a tutto quello che viene identificato quale concausa del crollo della civiltà. Una spersonalizzazione profonda unita all’abnegazione per il lavoro, a quella produzione di materie prime (Ferro, Legno, Plastica, Vetro), che consente a Metropoli di crescere senza sosta e dare nutrimento ai suoi abitanti. O a nutrirsi dei suoi abitanti?
L’Uomo incontrerà una Donna, e con lei dovrà scegliere se diventare Metropoli, o rimanere Uomo.
Scritto con linguaggio evocativo, a volte fin troppo ricercato nei dialoghi, ricco di metafore, sottintesi e speculazioni filosofiche, Metropoli si può leggere come un’affresco di un possibile futuro o come allegoria del presente, soprattutto se rapportato alla realtà vissuta in certe periferie industriali, anche di casa nostra.
Alcune immagini e descrizioni risultano davvero forti, benché non tutte originalissime. Ciò che invece può apparire come un costante ricorso all’infodump pare del tutto funzionale al racconto. E poi è scritto molto bene.
Dello scrittore, Massimiliano Santarossa, non ho letto altre opere, ma in rete se ne parla un gran bene.
Lettura consigliata, ma soltanto se avete voglia di impegnarvi. Dimenticate umorismo, turpiloquio, sesso, azione. Insomma, tutti quegli ingredienti che rendono una lettura “divertente”. Metropoli è altro, e merita.