Ora: che il Pirata Marco Pantani sia stato ucciso, e non si sia suicidato, è una possibilità che sorprende molti, ma tutti, e il fatto che le indagini siano state riaperte non fa che dar ragione a tutti quelli che per qualche motivo la pensavano in un altro modo, ossia diversamente rispetto a quanto emerso dalla fin troppo rapida chiusura delle indagini. Personalmente, negli anni ho avuto modo di seguire la vicenda, e ho creduto fin da subito all’ipotesi che potesse trattarsi di un omicidio. Faccio fatica invece a credere che l’omicidio possa avere una matrice massonica/rosacrociana (c’è chi parla anche di questo), così come legato esclusivamente agli ambienti criminali che gravitano intorno allo spaccio di stupefacenti. Possibile che la verità stia nel mezzo: forse Pantani dava fastidio, aveva minacciato di vuotare il sacco, e qualcuno che gli ronzava intorno è stato assodato per farlo fuori definitivamente.
Mi da invece fastidio chi, pur credendo alla tesi omicida, sminuisce la faccenda additando Marco Pantani quale meritevole di tal sorte. Ho letto un articolo dove ci mancava poco che il giornalista scrivesse: “Chi se ne frega se si è suicidato o è stato ucciso. Era un drogato imbroglione e ha fatto la fine che si merita”.
No. Nessuno merita quella fine. Marco Pantani si è drogato, si è dopato, ha imbrogliato. Poteva essere un campione normale in un mondo di dopati, senza grosse vittorie sulle spalle, e invece ha deciso di diventare un grande campione ricorrendo al doping. E questo è sbagliato, tremendamente sbagliato. Ma una madre, sua madre, merita di sapere se il figlio è stato ucciso o si è suicidato. Merita di vedere i colpevoli dietro le sbarre. Perché Pantani sarà stato pure un dopato, un tossico, un imbroglione. Ma era un uomo, certamente debole, travolto dal mondo malato di cui faceva parte. E chi è senza peccato scagli la prima pietra.