Romanzo impossibile da recensire senza svelare il colpo di scena sul quale si poggia l’intera vicenda. Cercherò di evitarlo, consapevole del fatto che verrà fuori una recensione povera e perlopiù incomprensibile.
Allora, Siamo tutti completamente fuori di noi è un romanzo della statunitense Karen Joy Fowler, scrittrice sconosciuta dalle nostre parti, operante in ambito Fantasy/SF (vincitrice di un Nebula e di un John Wood Campbell).
Il romanzo è raccontato in prima persona dalla protagonista, Rosemary Cooke, una giovane donna che ripercorre i ricordi della sua vita segnata da un evento traumatico, e lo fa in modo circolare, non partendo dal principio, al quale si arriverà per gradi, ma ripercorrendo gli eventi a ritroso, dagli anni del college fino alla primissima infanzia. Rosemary è la secondo genita di una famiglia composta da un padre scienziato, che porrà Rosemary al centro di un inedito e particolare esperimento scientifico, poi bruscamente interrotto, un fratello ribelle, una madre depressa e una sorella misteriosamente scomparsa. Cotanta famiglia, insieme all’evento traumatico di cui sopra, la condurranno verso un’esistenza ai margini di una società nella quale fa fatica a integrarsi, e dalla quale non viene capita. Il fallimento dell’esperimento condotto dal padre porterà delle conseguenze irrimediabili, causa diretta della depressione della madre, della ribellione e fuga del fratello e del senso di colpa che attanaglia l’esistenza Rosemary. Fino a questo punto ho descritto apparentemente una tragedia strappalacrime. In realtà il romanzo alterna una leggera ironia alla speculazione scientifica, sociale e filosofica sui generis, vagamente postmoderna, parente alla lontana di certa fantascienza ecologista anni settanta.
Che dire di più? Il romanzo si lascia leggere, pur senza gridare al miracolo o al capolavoro, e gli si può riconoscere una certa originalità di fondo. Fidatevi.