Articolo scritto per la rivista on line Andromeda, che differisce rispetto all’originale per l’ampia digressione autobiografica.
Sono riuscito nell’impresa non facile di portare a termina la lettura di History, l’ultima fatica letteraria di Giuseppe Genna. “Fatica” nel vero senso della parola, tanto che mi sento da subito di poter dire che History non è un romanzo per tutti, e tra questi ovviamente mi ci metto anch’io. Ma procediamo con ordine, con una mia breve digressione autobiografica.
È una vita che leggo un po’ di tutto in modo disordinato e caotico. Fino a quattordici divoravo manuali e libri illustrati per ragazzi. Intorno ai quindici anni è sbocciato l’amore per la narrativa, prevalentemente di genere fantascientifico. Ho passato un paio d’anni a leggere quasi esclusivamente romanzi e racconti di Isaac Asimov, per poi diversificare con Urania comprati a casaccio, i libri di Lovecraft e Poe, gli scrittori cyberpunk e l’opera omnia di Philip K. Dick. A un certo punto ho rallentato con il consumo smodato di narrativa di genere, spostando i miei interessi sul mainstream di provenienza anglosassone, con saltuarie incursioni nel beat e nel postmoderno.
In corrispondenza con l’assunzione nell’azienda per la quale lavoro da più di vent’anni, e con lo spostamento dei miei interessi verso internet e l’approfondimento delle conoscenze informatiche, il mio ritmo di lettura è crollato vertiginosamente, fino a quasi azzerarsi.
Per un quinquennio non ho letto quasi nulla, a parte quotidiani, riviste, qualche fumetto, libri inchiesta e rari romanzi, finché non mi sono imbattuto, non ricordo se su La Replubblica o La Stampa, nella recensione di un romanzo di Giuseppe Genna: Non Toccate La Pelle del Drago. Fino ad allora avevo evitato gli autori italiani, con l’eccezione di Stefano Benni e pochi altri. Non solo: mi risultava inconcepibile l’idea stessa di una narrativa di genere in salsa italiana. Con Genna invece mi si è aperto un mondo. Ho letto in poco tempo quasi tutto quello che aveva pubblicato fino ad allora, e per contagio sono passato alla lettura di altri autori italiani suoi contemporanei: Tommaso Pincio, Tullio Avoledo, Massimo Carlotto, Massimiliano Fois…
Pur senza raggiungere l’intensità e la frequenza delle letture nella prima metà della mia esistenza, da allora ho continuato a leggere senza più interruzioni.
In tutto questo, il Genna di History, e qua e là lo dice anche lui, non è più, purtroppo o per fortuna, quello che raccontava le gesta dell’Ispettore Guido Lopez. Ma neanche quello dei più maturi L’Anno Luce, Deus Irae, Hitler e Italia De Profundis
Volendogli affibbiare un genere, History può essere considerato un romanzo di metafisica fanta-tecnologica a carattere apocalittico, scritto in un italiano cacofonico e lisergico, difficile, barocco, fatto di periodi lunghissimi, ricco di metafore criptiche, estenuanti ripetizioni e richiami a concetti filosofici di difficile interpretazione. Lettura ostica, faticosa, lenta. Arrivo a dire che il modo migliore per leggere History sarebbe quello di chiudersi in una stanza e riservagli almeno un paio di ore di “studio” al giorno, senza distrazione alcuna, altrimenti si perde inevitabilmente il filo della narrazione. La qual cosa a me è capitata diverse volte, costringendomi poi a frustranti rewind. E non che Genna questo non lo sappia: anzi, sono tentato di pensare che l’abbia fatto apposta, abbia cercato questa complessità con lo l’intendo di mettere alla prova il lettore, col quale sembra avere un conto in sospeso, probabilmente per il fatto stesso di appartenere al genere umano. Si, perché a Genna l’Essere Umano proprio non piace. Non gli piace la carne, la corruzione della stessa, le deviazioni, il sesso, le perversioni. Non gli piacciono il mondo e l’Italia, le sue periferie perennemente anni settanta, con la loro miseria proletaria, le strade polverose, i palazzi grigi, i cieli plumbei, lo smog marrone e denso, i giovani persi nella droga, i vecchi alcolisti e puzzolenti, i pedofili onnipresenti, le automobili scassate e arrugginite. E sembra provare odio e attrazione per il mondo dorato dell’alta borghesia, dove le deviazioni e depravazioni di cui sopra sono invece ammesse e concesse.
In History Genna ha messo tutto, ma proprio tutto il suo repertorio, compresi i riferimenti alla vicenda di Alfredino Rampi e alle non-risposte sulla natura del Male, aggiungendovi una persistente sotto-trama fanta-apocalittica.
Sintetizzare la trama non è esercizio semplice. Il romanzo inizia con una lunga introduzione ampiamente autobiografica, ambientata negli anni settanta del secolo scorso, quelli dell’infanzia milanese, proletaria ed evidentemente ansiogena di Genna. La parte introduttiva si chiude con la comparsa della Trista Figura, uno Slender Man onirico che rapisce i bambini e li conduce in una realtà che verrà disvelata, non del tutto chiaramente, nel corso della narrazione. La stessa Trista Figura appare in continuazione nelle visioni allucinatorie di History, bambina “più che autistica” e dall’aspetto sgraziato, figlia di un Tycoon della finanza. History rivive in loop le infinite variazioni del suo rapimento immaginario da parte della Trista Figura. Ciò la rende in qualche modo oggetto di studio e interesse da parte dell’Intelligenza Artificiale alla quale lavora il pool di scienziati del “Tecnopolo Umano”, la cui sede italiana è installata in quella che nel romanzo è l’ex sede della Mondadori, a Segrate.
Durante la festa di compleanno del Tycoon, a sua volta azionista del “Tecnopolo”, Genna entra casualmente (casualmente?) in contatto con History, la quale gli rivolge inaspettatamente la parola. L’evento è del tutto eccezionale, visto l’autismo assoluto di cui soffre History, tanto che al protagonista – il cui nome non verrà mai rivelato, ma che sappiamo essere Genna stesso – viene chiesta una collaborazione attiva con lo staff del Tecnopolo Umano. Da questo momento in poi Genna introduce argomenti sempre più complessi dal punto di vista scientifico e filosofico, attingendo a piene mani, a volte al limite del copia e incolla, da Wikipedia. Intelligenza artificiale, singolarità, tempo di Plank, robot senzienti, realtà virtuale e materiali esotici come il Vantablack. Centinaia di pagine dove in realtà succede poco e che conducono a un finale dichiaratamente ispirato a 2001 Odissea nello spazio. L’ultimo capitolo si intitola infatti Beyond Jupiter and the Infinite, come l’ultima parte del capolavoro di Kubrik. A questo punto devo fermarmi: davvero troppo difficile raccontare History.
History più che una lettura è un’esperienza, una prova. Io l’ho portata a termine, ma a fatica, come ho già detto in apertura. Purtuttavia – sorpresa – ne è valsa la pena, perché come nella vita reale (reale?) non tutte le esperienze che in qualche modo ti arricchiscono sono piacevoli o consolatorie, e un po’ di sano sadomasochismo finisce per piacere a chiunque.