Ho come l’impressione che in questo libro non siano state tradotte le note a piè di pagina. Più che un saggio, si tratta di un ammasso di nomi, fatti, citazioni cinematografiche e rimandi che dovrebbero dimostrare tutto e invece non dimostrano niente.
Si fa una fatica immane a portare avanti la lettura. La tesi, che poi viene dimostrata a fatica, è che a quanto pare negli anni 50, negli Stati Uniti d’America, sono state poste le basi del futuro. Un futuro fatto di splorazione spaziale, consumismo, droghe, esperimenti su cavie umane, esplosioni atomiche, film di serie B, edilizia residenziale… tutto fa brodo. Un minestrone indigesto per dire che negli anni 50 la paranoia ha portato la maggiore potenza planetaria a compiere degli abusi.
Tutto qui? Si, tutto qui.
Rivelazioni clamorose non ce ne sono. Approfondimenti scientifici neanche. Decine invece le trame e le citazioni su paradigmatici film fantascientifici, che in teoria dovrebbero svelare chissà cosa. Forse che si aveva paura del comunismo? Sai che scoperta!
E poi: la traduzione. Chiaramente il traduttore non conosce la materia di cui scrive. Tanto per fare un esempio, il Laboratorio della Propulsione a Getto, non è altro che il JPL, o Jet Propulsion Laboratory, che tutti, nel mondo, conoscono così, con il suo bel nome inglese. Così come tutti conoscono il MIT, o Massachusset Institute of Technology, e nessuno si sognerebbe di tradurlo in Istituto della tecnologia del Massachusset (e questo per fortuna ci viene risparmiato).
L’unico modo per trarre profitto dalla lettura di questo libro consiste nel tenerlo aperto come traccia, o come indice, non alfabetico, di nomi e fatti, da approfondire su wikipedia o altra fonte di informazioni.
Non c’è altro da aggiungere.
Archivi autore: Thomas M. Pitt
Abbiamo trovato il nuovo Di Livio?
Lo vedo salire e scendere lungo la fascia, sia destra che sinistra, è in questo mi ricorda un certo Soldatino, giocatore umile che qualche anno fa contribuì alla costruzione di una delle squadre di calcio più forti di tutti i tempi.
La squadra era la Juventus dei Montero, Zidane, Del Piero, Jugovic, Torricelli, Ravanelli, Conte… e il Soldatino era quell’Angelo Di Livio, infaticabile corridore, padrone della fascia, dispensatore di cross e prezioso elemento di raccordo tra i reparti.
Simone Pepe mi ricorda Angelo Di Livio. Certo, non sono uguali, e anche la juventus di allora era diversa da quella di adesso. Di Livio era più veloce, le sue partenze da fermo erano brucianti e i suoi recuperi puntuali e precisi. Simone Pepe vince in progressione, potenza fisica e senso del gol. Ma l’impressione di possedere la forza e i polmoni per dominare la fascia è la stessa.
Di Livio non era un fuoriclasse, ma era un grande. Nei commenti dei tifosi Juventini si sente dire fino alla nausea che Simone Pepe non è un fuoriclasse, ma soltanto un buon giocatore. Se è quello visto ieri sera contro il Paraguay, Pepe è un ottimo giocatore. Non sarà un fuoriclasse, ma la Juve vinse la Champions con Torricelli milgiore in campo.
Non dimentichiamolo.
Un consiglio a Marotta: investa in SIM Svizzere
Dopo aver letto tutto quello che progressivamente sta emergendo a proposito di pedinamenti clandestini ai danni di Moggi, dossier commissionati dall’inter alla security Telecom, spionaggio nei confronti dei propri tesserati, degli arbitri, designatori e quant’altro, consiglio vivamente al nuovo DS della Juve Beppe Marotta di prendere il primo volo per la Svizzera, la Germania o l’Olanda, e comprare una vagonata di SIM straniere per telefoni cellulari. Se il budget lo consente, abbini a queste SIM qualche smartphone dove si possa installare Skype o altro software per la comunicazione crittografata.
Successivamente queste sim e questi cellulari andranno regalati a tutti gli interlocutori.
Non è vietato, non è reato, non è scorretto.
C’è gente che ha abusato dei propri mezzi per arrecare danno alla Juve e avvantaggiare la propria squadra. Era doveroso difendersi allora, e Moggi cercò di farlo (pagandone le conseguenze, insieme alla Juve), lo è a maggior ragione oggi.
Per aver spiato la Ferrari alla McLaren hanno levato un mondiale. All’Inter potrebbero levare un paio di scudetti. Ma siamo in Italia, e la FIGC non è la FIA.
Difendiamo la Juve dagli spioni (che, tra parentesi, la faranno franca anche questa volta).
Arriva l’iPhone 4: una bomba!
Tempo fa scrissi un articolo intitolato l’iPhone ti cambia la vita. Sono passati dei mesi, e lo stupore e l’entusiasmo delle prime settimane si sono progressivamente trasformati in routine. Ciononostante l’opinione iniziale è rimasta sostanzialmente la stessa: l’esperienza d’uso che l’iPhone può garantire è totalmente diversa da quella di qualsiasi altro cellulare, anche se i dispositivi basati su Android stanno lentamente colmando il divario.
Le caratteristiche salienti del nuovo dispositivo Apple sono state illustrate da tutte le fonti di informazione. Riassumo quelle che a mio avviso sono le più importanti.
Lo schermo presenta ora una risoluzione di 960 x 640 pixel, quadruplicata rispetto a quella dei “vecchi” iPhone. Considerato che le dimensioni dello schermo sono rimaste pressoché invariate (3,5″), si tratta della maggior risoluzione mai raggiunta in uno smartphone. Se luminosità e contrasto rimarranno invariati rispetto al predecessore, la vedo veramente dura per i vari concorrenti dell’iPhone. Infatti, nonostante quest’ultimo potesse contare su una risoluzione di 480 x 320 pixel, poteva garantire una qualità di visione superiore a quella della maggior parte dei concorrenti con risoluzione superiore.
Risoluzione maggiore significa miglior fruizione dei contenuti multimediali, delle pagine internet, dei games, delle Apps. Siti internet particolarmente ricchi di immagini e testo potranno ovviamente avvantaggiarsi della maggior risoluzione: siti di news, quotazioni di borsa, casino on line.
l’iPhone 4, pur mantenendo sostanzialmente l’aspetto del predecessore, vede le proprie dimensioni leggermente ridotte, soprattutto nello spessore, ora inferiore a 10 mm.
Migliorati i materiali. La plastica è stata bandita quasi del tutto, sostituita dal durissimo vetro alluminosilicato antigraffio nella parte posteriore (identico a quello della parte anteriore) e dal bordo metallico caratterizzato da una durezza cinque volte superiore a quella dell’acciaio.
Migliorata la velocità del sistema operativo, che ora può contare su un processore da 1 Ghz, da una quantità di ram raddoppiata e dalla presenza nativa del multitasking.
Al chipset GPS e all’accelerometro si affianca ora un’oscilloscopio, che dovrebbe garantire una maggiore sensibilità in tutte quelle applicazioni che si basano sul movimento de dispositivo.
Il sensore fotografico è ora da 5 mpx, corredato da flash led e con la possibilità di effettuare riprese video in qualità HD. Sono ora possibili le videochiamate.
I prezzi infine dovrebbero rimanere uguali quelli dell’iPhone 3Gs, anche se immagino che in Italia un po’ tutti gli operatori telefonici che distribuiranno l’iPhone 4, almeno inizialmente, proveranno ad approfittare dell’effetto novità. Scommettiamo?
Juventus: non aspettiamoci i fuoriclasse…
Inutili, totalmente inutili, le lamentele di molti, troppi tifosi Juventini i quali, prima ancora di bocciare le prime mosse della nuova dirigenza bianconera riguardo le strategie di mercato, dovrebbero affidarsi a un po’ di sano realismo (vedi articolo precedente).
Dimentichiamo nomi altisonanti e pezzi da novanta. E smettiamo di dire in continuazione “Non è un giocatore da Juve”. In questo momento i giocatori da Juve sono i Palombo, i Pazzini, i Bonucci (e sarebbe già grasso che cola) e qualche altro straniero di seconda fascia.
I pezzi da novanta non vanno a giocare l’Europa League, e non vanno a prendere 3,5 € di ingaggio.
Quando anche un “normale” Krasic (che sarebbe un buon sostituto di Nedved) dice che se dovesse cambiare squadra vorrà comunque giocare la Champions, mettiamoci il cuore in pace e dimentichiamo i Riberì, i Robben, Fabregas… ma anche Dzeko, Benzema.
Ed anche pretendere di arrivare a qualche giovane di belle speranze, alla Di Maria per intenderci, sarà molto, troppo difficile avendo alle porte un mondiale di calcio che farà inevitabilmente lievitare i prezzi di quelli che riusciranno a far vedere qualcosa di buono.
Sarebbe da pazzi infatti cedere ora un giovane talentuoso di 22 anni, sapendo che se dovesse comportarsi bene al mondiale (e magari far parte della compagine vincente), vedrebbe crescere a dismisura il suo valore di mercato.
Mettiamoci il cuore in pace.
Juventus – un po’ di sano realismo
Argomenti di cui scrivere ce ne sarebbero parecchi: l’esultanza volgare di qualche giocatore interista, l’oblio mediatico sui fatti di calciopoli 2, il tifoso Guido Rossi in tribuna a Madrid, un commosso Abete (segretario FIGC) che abbraccia Moratti, il litigio degenerato in omicidio tra un tifoso interista e uno juventino.
Ciò che invece da qualche tempo occupa costantemente i miei pensieri, e di cui ho una gran voglia di scrivere, ha a che fare con uno spiacevole parallelismo: la Juve sta rivivendo il decennio senza gloria 1986/1995. Periodo infausto nel quale vincemmo un paio di coppe uefa, una coppa italia, in mezzo a una serie infinita di terzi e quarti posti.
Certo, la genesi di quel periodo di magra fu totalmente diversa da quella attuale. Allora un folto gruppo di campioni aveva raggiunto i propri limiti fisici, mentre gli avversari potevano disporre di giocatori maturi e determinanti (il Napoli dei Maradona, Careca, Giordano, De Napoli, Carnevale e la Sampdoria dei Vialli, Mancini, Cerezo, Vierkowood), o di un nuovo modo di intendere il calcio (il Milan dei miliari a profusione versati da Berlusconi). Ci si doveva misurare con compagini fortissime che, scudetto dei rekord a parte, hanno poi raccolto molto poco (l’inter di Zenga, Bergomi, Brehme, Matthaus, Diaz, Serena, Berti…).
La Juve in quegli anni sembrava non azzeccarne una. Si passava dagli stranieri “esotici” Zavarov e Aleinikov, ai mezzi bidoni alla Ruy Barros, Ian Rush, Moeller, alle eterne promesse alla Michael Laudrup. Ci si svenava per comprare campioni “problematici” quali il primo Baggio, Di Canio, Schillaci, per poi svenderli o non dargli adeguato supporto. Si imbastivano rivoluzioni assurde come la Juve di Montezemolo e Maifredi, con i suoi 70 miliardi spesi per la campagna acquisti: oggi fanno ridere, ma allora fu un rekord. Si mandavano via allenatori come Zoff, che portarono nuovamente la Juve alla vittoria (una coppa Uefa e una coppa Italia vinte nello stesso anno), senza dargli il tempo di costruire qualcosa di concreto.
Bene, ora facciamo un gioco: prediamo le ultime frasi da me scritte e attualizziamole.
Ieri i miliardi a profusione li versava Berlusconi, oggi Moratti fa lo stesso, anche se un po’ a casaccio: spende di più e compra un po’ a naso. Certo è che dopo una quindicina d’anni (ed aver speso quanto il pil di un piccolo stato) gli sono rimasti dei giocatori veramente forti.
Allora, in quel famoso decennio, riuscimmo a trovare in Zoff un allenatore valido, motivato e che riusciva a far rendere al massimo con il poco che gli veniva messo a disposizione (gente buona alla Marocchi, De Agostini – forse il miglior giocatore di quegli anni -, Galia, Bruno, ma nessun vero campione), per poi mandarlo via e rischiare il tutto e per tutto con Maifredi, dopo aver speso decine di miliardi per rafforzare la squadra. In pratica la stessa cosa che è stata fatta con Ranieri, Ferrara, Felipe Melo e Diego. L’unica differenza è che dopo Maifredi arrivarono Trapattoni e Vialli, e lentamente, dopo tre anni, iniziammo nuovamente a vincere. Oggi è arrivato Del Neri, e di grandi campioni in arrivo non c’è nemmeno l’ombra. Allora si spendevano miliardi per giocatori sbagliati, per autentiche scommesse: ieri Zavarov, oggi Tiago; ieri Ruy Barros, oggi Diego; ieri Aleinikov, oggi Felipe Melo.
Allora ci vollero quasi dieci anni per tornare a vincere trofei importanti. Qualcosa in meno per vincere trofei minori. Oggi i trofei minori li prendono gli altri, e quelli importanti li guardiamo da lontano, senza prospettive.
Ci vorrebbe un miracolo.
Davide Longo – L’Uomo Verticale
Gran bel romanzo questo L’Uomo Verticale di Davide Longo, giovane scrittore italiano che – devo ammetterlo – non avevo mai sentito nominare, e di cui sono venuto a conoscenza grazie a una breve recensione pubblicata da Giuseppe Genna nel suo Blog.
L’Uomo Verticale somiglia a una sorta di prequel italico de La Strada, il capolavoro apocalittico scritto da Cormac McCarthy. Anche qui non si capisce quale catastrofe o quale sconvolgimento politico o sociale abbia fatto precipitare gli eventi, chi o che cosa abbiano condotto l’Italia a diventare una terra in preda alla barbarie, alla disperazione e al degrado. Qualcosa si intuisce, ma da’altra parte come in La Strada, non è importante cosa sia successo prima, ma come abbiano reagito dopo i personaggi sui quali è costruita la storia.
Il protagonista del romanzo è uno scrittore e docente universitario, una persona mite la cui esistenza è stata macchiata da uno scandalo che ha distrutto la sua famiglia. Dopo alcuni anni passati in solitudine nel suo piccolo paese d’origine, Leonardo, antieroe per antonomasia, si troverà ad affrontare situazioni terribili. Ritroverà una figlia dalla quale si era allontanato anni prima, e dovrà cercare di proteggere lei e il suo ambiguo fratellastro preadolescente, costretti ad affrontare situazioni di violenza estrema, in una escalation continua che accompagnerà il lettore verso un finale poetico e commuovente.
Se La Strada di McCarthy è un capolavoro, e lo è, L’Uomo Verticale di Davide Longo è un piccolo/grande gioiello della narrativa italiana contemporanea, al quale auguro un meritato successo internazionale.
Bellissimo.
Aggiornamento
Il successo internazionale alla fine è arrivato. Sono infatti disponibili su Amazon le edizioni Inglese (Last Man Standing), Francese (L’homme vertical:Traduit de l’italien par Dominique Vittoz (La cosmopolite)) e tedesca (Der aufrechte Mann) de “L’uomo verticale”. Sono stato un buon profeta.
Lasciamo andare Buffon
Buffon è un grande campione, uno di quelli che hanno fatto la storia del calcio. Una grande persona che ha accettato di rimanere nella Juve in serie B, nonostante qualsiasi grande club europeo l’avrebbe riempito di milioni pur di potersi garantire le sue parate miracolose.
Buffon ha ancora molti anni di calcio giocato davanti se. Altri trofei da vincere. Prospettive e ambizioni.
Non nella Juve.
Nel primo gol del Milan, ieri sera, Buffon ha prima disteso, poi ritirato il braccio. Attenzione, non dico che non l’abbia parato apposta, ci mancherebbe. Ma provate a guardarlo al rallentatore. C’è qualcosa nei suoi occhi. Qualcosa che sembra voglia dire: “Basta, è finita”.
Buffon merita di giocare e vincere. Altrove.
Questa Juve non ha prospettive. Va rifondata. E per questo servono i soldi.
Lasciamo andare Buffon. Lui merita di meglio. E noi abbiamo bisogno di giovani motivati.
Un allenatore per la Juve
Leggo in questi giorni un bel po’ di commenti da parte dei tifosi juventini che, a quanto pare, schifano Del Neri. Personalmente ho sempre ammirato l’attuale allenatore sampdoriano, anche se riconosco che portarlo alla Juve sarebbe un bel rischio. Lo si poteva fare qualche anno fa, quando la Juve vinceva, i campioni c’erano e venivano da noi volentieri (pur senza pretendere ingaggi stratosferici) e la società era guidata da persone competenti che sapevano affiancare e supportare il tecnico nella gestione del parco giocatori.
Farlo oggi, con la rosa che ci troviamo, con la difficoltà a convincere giocatori di rango a trasferirsi a Torino, con il rinnovamento dei vertici ancora in corso, potrebbe rappresentare un rischio eccessivo per una società che tenterà di tirarsi fori dai guai e, possibilmente, imparare nuovamente a vincere.
Detto questo, bisogna scontrarsi con la dura realtà.
Inutile prendersela con la società se, invece di Benitez, Wenger, Capello dovrà accontentarsi di un Del Neri (o un Allegri) qualsiasi. Non ci sono i soldi, non c’è la champions, non ci sono prospettive certe. Tutte cose che appartengono a un passato glorioso. Tutte cose che farebbero muovere un tecnico quotato.
Per quale motivo un allenatore top dovrebbe aver voglia di trasferirsi a Torino? Sono loro a rifiutare la Juve, che pure li ha cercati e corteggiati a lungo. Possibilità di convincerli con la forza del denaro non ce ne sono. Voi dareste, chessò, 8 milioni a Benitez per accettare di andar via dal Liverpool e non pretendere di portarsi dietro staff tecnico e metodi di lavoro inglesi (sarebbe un rischio eccessivo imporre un metodo di lavoro alternativo in una Italia pallonara in cui il peso politico di DG e DS viaggia di pari passo ai risultati ottenuti…). Magari glieli dareste anche, ma la Juve, semplicemente, non ce li ha. Mettiamo che il progetto fallisce, quello poi vuole l’intero malloppo, come sta cercando di ottenere dal Liverpool.
La Juve non è l’Inter, grazie a Dio. Non invidio chi può vomitare miliardi di tasca propria, salvo poi ricapitalizzare all’infinito, vendere il marchio a se stessi per ripianare le perdite (se l’avesse fatto il Bologna, o un’altra piccola qualsiasi, gli avrebbero impedito di iscriversi al campionato) e attingere a piene mani dall’azienda di famiglia. La Fiat non è la Saras, che fino all’altro giorno non era neanche quotata in borsa (salvo poi quotarsi con qualche patema d’animo… staremo a vedere). Nella Fiat c’è gente in cassa integrazione, che non sopporterebbe lo sperpero di denaro (in parte già avvenuto) per operazioni alla Mourinho (apro l’ennesima parentesi: indovinate dove andrà Benitez, e dove verrà ricoperto d’oro, se Mourinho andrà al Real…).
Non ci resterà che accontentarci e incrociare le dita.
Dimenticavo. In questa mia breve riflessione non ho contemplato l’ipotesi Prandelli, giusta via di mezzo tra obiettivi medi alla Del Neri e Allegri, e allenatori di rango alla Benitez, Capello, ecc.
Prandelli verrebbe alla Juve, non pretenderebbe ingaggi faraonici, ci si potrebbe fare affidamento con maggior tranquillità. Ed è un ex juventino, il che non guasta. Purtroppo intorno alla sua candidatura gravitano dichiarazioni d’amore per i colori viola, posizioni intransigenti dei Della Valle, umori delle tifoserie, orgogli e impuntamenti vari. Se venisse alla Juve sarebbe per una serie di combinazioni fortuite. Ma la fortuna ultimamente non passa per Torino…
Revocare due scudetti… all’Inter
Uno è quello di cartone, e anche se Zanetti dice sbuffando che di quello non gliene frega niente, è comunque un bel colpo per quelli che festeggiavano lo scudetto dell’anno successivo cantando “Senza rubare, vinciamo senza rubare, senza rubaaaare…”.
L’altro è, appunto, quello dell’anno dopo, campionato 2006/ 2007. Quello dei festeggiamenti di cui sopra.
La tesi è questa: mettiamo che per qualche vizio di forma, per qualche (inaspettata) vittoria processuale vengano annullate le sentenze di Calciopoli 1. Perché annullarle? Non perché le squadre penalizzate non meritassero quelle sentenze, ma semplicemente perché il processo non è stato condotto in modo regolare (sono state usate soltanto le intercettazioni che inchiodavano Juve, Milan, ecc., mentre sono state ignorate le altre, che violavano comunque il famoso Articolo 1). Un po’ come nei film americani, dove l’assassino viene liberato perché la polizia ha maneggiato a mani nude le prove, inquinandole (se ci pensate, è proprio quello che è successo).
E qual è la conseguenza? Se le sentenze sono da annullare, il campionato successivo è da considerare falsato, poiché l’Inter è stata irregolarmente avvantaggiata rispetto alle squadre penalizzate da un processo viziato.
In sostanza, ha vinto facilmente un campionato irregolare.
Due scudetti in meno.
Peccato che la squadra dei galantuomini e dei signori, degli onestoni in smoking bianco, la farà franca. Perché nei palazzi dello sport e della politica di tirare fuori le palle una seconda volta davvero nessuno ne ha più voglia.