Archivi autore: Thomas M. Pitt

Ernest Cline, Player One

Nella versione cartacea questo libro è un mega spiegone galattico da 640 pagine. Per i non addetti ai lavori (non che io lo sia), lo spiegone è il MALE: sia in ambito narrativo, dove a volte è complicato farne a meno, sia in ambito cinematografico, dove invece le immagini dovrebbero raccontare tutto, o quanto basta. Dicesi “spiegone” quella spiegazione lunga, pedante e spesso fuori luogo che molti scrittori della domenica (e purtroppo tanti di questi riescono a diventare famosi) usano per illustrare senza troppe complicazioni il contesto storico nel quale si svolgono le vicende che vengono narrate. E questo è il difetto numero 1.
Il difetto numero 2 sono proprio le 640 pagine della versione cartacea. Una bella sforbiciata gli avrebbe fatto bene, e menomale che l’ho letto su ebook, altrimenti la mole eccessiva l’avrebbe presto condannato a sparire tra gli scaffali della mia libreria.
C’è anche un difetto n. 3: l’irritante linguaggio adolescenzial/fanciullesco dei protagonisti, ricco di “come butta?”, “amigo”, “fottiti”, “cazzone” e via involvendo.
Fine dei difetti? No, ce ne sono altri, ma a questo punto devo spiegare perché nella recensione di Amazon ho assegnato a questo romanzo tre stelle su cinque.
Ready Player One era la scritta che compariva a inizio partita nei videogiochi cabinati degli anni ottanta, dopo aver inserito il gettone o la monetina. Nel titolo della versione italiana del romanzo è stata inspiegabilmente eliminata la parola Ready, e questo è un crimine vero e proprio, visto che Player One da solo non se lo ricorda nessuno. Andiamo avanti. Ambientato nel 2044, in un futuro dove l’attuale crisi economica è diventata una fantamegacrisi economica, l’umanità anziché perdere tempo su Facebook e Twitter, spreca la propria esistenza su OASIS: una sorta di Second Life/Social Network immersivo dove ci si muove con il proprio avatar in mezzo a pianeti che riproducono fedelmente i mondi virtuali contenuti in videogame, film, telefilm, fumetti. In pratica quello che Zukenberg vuole fare di Facebook dopo aver comprato Oculus Rift. Non solo, OASIS è anche scuola, economia, finanza… Insomma, ci gira praticamente di tutto.
Il creatore di OASIS, James Halliday, è una sorta di Jobs/Zukemberg/Page/Brin/Gates un po’ meno affascinante e un po’ più strano, se possibile (un nerd che più nerd non si può), cresciuto tra mille complessi in QUEGLI anni 80. Nei miei anni 80. L’autore è un classe 72, un anno più grande del sottoscritto, e come il sottoscritto ha passato l’infanzia davanti alla TV o giocando ai videogame, visto che il mondo di fuori era una merda (o così me lo ricordo/se lo ricorda). E così delle 640 pagine almeno 320 sono di citazioni anni ’80, ed è questo il punto forte del libro, la terza stelletta oltre alle due che avrebbe meritato. Le citazioni riguardano Film, Telefilm, Manga, Sit-Com, Fumetti, Videogames, Computer e console, storia dell’informatica, pubblicità e tutta quella paccottiglia pop anni ’80 per la quale ancora oggi andiamo matti.
Il protagonista e narratore è Wade Watts (dal nome allitterante come di solito si usa per gli eroi dei fumetti, come giustamente fa notare), un adolescente orfano e povero che vive in un cumulo di container con la zia che l’ha adottato soltanto per intascarsi i contributi sociali. E mentre nel mondo reale Wade è NIENTE, su OASIS invece è Pazifal, un esperto di videogame che partecipa come “Gunter” al concorso indetto dal suo eroe, proprio quel James Halliday creatore di OASIS che, in quanto adolescente negli anni 80, ne ha mutuato tematiche e citazioni per organizzare una caccia al tesoro che mette in palio tutto il suo patrimonio, OASIS compreso. A ostacolare la caccia di Wade/Parzifal e dei suoi amici Aech, Daito, Shoto e della misteriosa blogger Art3mis, di cui Wade è follemente innamorato, i cattivissimi e stereotipati “Sixers” capitanati dall’irritante e altrettanto stereotipato Nolan Sorrento. Ricchi e cattivi contro poveri e simpatici, come da tipica retorica yankee.
Lo spessore drammatico della vicenda è decisamente impalpabile però, miracolo, alla fine si tratta di un libro divertente, e che incredibilmente si riesce a digerire per tutte le 640 pagine, manco fosse scritto da Tom Clancy.
Un cenno sull’autore, Enrest Cline: perlopiù sconosciuto, ha sceneggiato il film Fanboys (che ho visto: carino) e ottenuto fama internazionale grazie a questo Ready Palyer One, romanzo che le case editrici si sono contese a suon di rilanci ancora prima che venisse ultimato. In America funziona così: si investe sulle idee. Ovviamente la storia è stata opzionata per il grande schermo, e Cline ne curerà la sceneggiatura. Difficile che ne venga fuori qualcosa di buono, ma non si sa mai.

Marco Pantani

marco pantaniOra: che il Pirata Marco Pantani sia stato ucciso, e non si sia suicidato, è una possibilità che sorprende molti, ma tutti, e il fatto che le indagini siano state riaperte non fa che dar ragione a tutti quelli che per qualche motivo la pensavano in un altro modo, ossia diversamente rispetto a quanto emerso dalla fin troppo rapida chiusura delle indagini. Personalmente, negli anni ho avuto modo di seguire la vicenda, e ho creduto fin da subito all’ipotesi che potesse trattarsi di un omicidio. Faccio fatica invece a credere che l’omicidio possa avere una matrice massonica/rosacrociana (c’è chi parla anche di questo), così come legato esclusivamente agli ambienti criminali che gravitano intorno allo spaccio di stupefacenti. Possibile che la verità stia nel mezzo: forse Pantani dava fastidio, aveva minacciato di vuotare il sacco, e qualcuno che gli ronzava intorno è stato assodato per farlo fuori definitivamente.
Mi da invece fastidio chi, pur credendo alla tesi omicida, sminuisce la faccenda additando Marco Pantani quale meritevole di tal sorte. Ho letto un articolo dove ci mancava poco che il giornalista scrivesse: “Chi se ne frega se si è suicidato o è stato ucciso. Era un drogato imbroglione e ha fatto la fine che si merita”.
No. Nessuno merita quella fine. Marco Pantani si è drogato, si è dopato, ha imbrogliato. Poteva essere un campione normale in un mondo di dopati, senza grosse vittorie sulle spalle, e invece ha deciso di diventare un grande campione ricorrendo al doping. E questo è sbagliato, tremendamente sbagliato. Ma una madre, sua madre, merita di sapere se il figlio è stato ucciso o si è suicidato. Merita di vedere i colpevoli dietro le sbarre. Perché Pantani sarà stato pure un dopato, un tossico, un imbroglione. Ma era un uomo, certamente debole, travolto dal mondo malato di cui faceva parte. E chi è senza peccato scagli la prima pietra.

La questione ufologica

La questione ufologica“Siete veramente così presuntuosi da credere d’essere le uniche forme di vita nell’universo?”. Quante volte l’ho sentito dire? Nessuno scienziato1 (sano di mente) mette in dubbio la possibilità (sottolineo: POSSIBILITÀ, non certezza) che altre forme di vita possano essersi sviluppate al di fuori della Terra, anche soltanto per una semplice questione statistica. Più difficile è che tali forme di vita abbiano sviluppato l’intelligenza come noi la intendiamo. Per quanto mi riguarda un essere intelligente è colui il quale si dimostra capace di progettare, realizzare e sfruttare una qualche forma di tecnologia, come la ruota, ad esempio. E qui le cose cominciano a farsi più complicate. Non fosse stato per un meteorite bello grosso, con molta probabilità i mammiferi sarebbero rimasti dei piccoli roditori, e i dinosauri avrebbero continuato a prosperare, ma non necessariamente a evolversi. Si può dire pertanto che la vita intelligente si sia sviluppata sulla Terra per puro caso. E su questo ci si può anche scornare, se non altro l’oggetto del contendere ha una valenza scientifica, per quanto puramente speculativa. Ben diverso è se la domanda te la fa uno che crede negli UFO. Benché affascinato da tematiche ufologiche, non ho ancora trovato nessun video, pubblicazione, testimonianza o racconto relativo a avvistamenti di UFO, alieni e affini che non sia facilmente smontabile usando il Rasoio di Occam (o il semplice buonsenso). Come dire: ci spero ma non ci credo. Eppure, per tornare al discorso iniziale, ogni volta che dichiaro il mio scetticismo sulla questione ufologica, salta fuori il solito filosofo che pronuncia la domanda posta a inizio articolo, dove l’essere presuntuosi non c’entra assolutamente nulla. È possibile che in qualche pianeta di una galassia lontana o su Alfa Centauri si siano sviluppate amebe giganti che si nutrono di uranio, ma difficilmente verrete a saperlo. Tuttavia la possibilità c’è. Sul fatto poi che queste si prendano la briga di costruire astronavi intergalattiche o interstellari, alimentate con chissà quale forma di energia, capaci di superare la velocità della luce2, per poi planare sulla Terra di nascosto, schiantandosi un po’ ovunque3, e si divertano a rapire i terrestri per chissà quale motivo4, bé, faccio molta fatica a non consideralo uno spunto per un racconto si SF, peraltro abusato. Continuate pertanto a darmi del presuntuoso, non mi offendo mica. Nel frattempo sarei felice d’essere smentito.

1 Sono anche abbastanza presuntuoso da dover specificare che no, non sono uno scienziato… 🙂
2 O di bypassarla attraverso i wormhole, che tutti sono bravi a teorizzare, ma che nessuno ha la più pallida idea di come realizzare e gestire.
3 ci sono tante di quelle testimonianze di UFO Crash sparse nel mondo che il sospetto è che i dischi volanti li fabbrichino degli omini verdi pagati in nero e con poca voglia di lavorare.
4) Per mangiarli? per ingravidarli? per schiavizzarli? ma non era più semplice costruire dei robot che provvedessero a tutti questi bisogni?

Davide Longo, Il caso Bramard

Con questo romanzo Davide Longo torna nel suo Piemonte, tra le colline e le montagne viste e vissute ne “Il mangiatore di pietre” e, marginalmente, ne “L’uomo verticale“, e lo fa raccontandoci la storia di un ex commissario, un uomo tormentato che abbandona la polizia dopo la tragedia subita per mano del serial killer al quale dava la caccia.
Rifugiatosi in un paese di montagna, Corso Bramard mette a frutto i suoi studi facendo l’insegnate part time in una scuola superiore, mentre trascina la sua esistenza in una dimensione bucolica e priva di modernità e tecnologia, imponendosi sofferte e rischiose arrampicate notturne. Una vita austera dove regnano solitudine e silenzio.
Fino a quando il suo antagonista si materializza nuovamente con una lettera misteriosa, l’ultima di una lunga serie di missive scritte con un’Olivetti del 72, che a differenza delle altre volte contiene un indizio. Un invito a riprendere le indagini che Corso Bramard non può lasciarsi sfuggire.
Corso Bramard è il solito personaggio al quale Davide Longo ci ha ormai abituati: un orso introverso e di poche parole e poche pretese, allo stesso tempo ruvido e sentimentale. Un alter ego dello scrittore, verrebbe da dire. La vicenda si svolge, come detto, tra le colline piemontesi, i quartieri bene di Torino e il villaggio silenzioso nel quale il protagonista si è rifugiato. Parallelamente, in un’alternanza regolare di capitoli, vengono svelati origine e intenti del misterioso serial killer.
A fare da contorno alla storia troviamo un commissario un po’ macchietta, una poliziotta emarginata che ricalca la Lisbeth Salander di “Uomini che odiano le donne” di Stieg Larsson, potenti famiglie dalle strane abitudini e i soliti montanari burberi e dai modi spicci che Longo ha raccontato in altri suoi scritti.
E la natura. Una natura vissuta, raccontata e sentita, fatta di descrizioni che somigliano a piccole istantanee, di rumori e silenzi che Davide Longo sa farti sentire come pochi altri.
Un buona buona lettura, non c’è altro da aggiungere.

I soliti moralisti…

Nel Fatto Quotidiano è stata ripresa una battuta da spinoza.it, che come molte battute intelligenti ha un duplice significato, comico e drammatico. La battuta è questa:

“Lo smantellamento della Costa Concordia darà lavoro a migliaia di persone. Finora Schettino ha fatto più di Renzi.”

Ovviamente sono insorti i soliti moralisti: “Vergogna, schettino ha causato 32 vittime!”

Vogliamo parlare dei suicidi causati dall’inerzia sul fronte del rilancio dell’economia?

Oliver Sacks, Allucinazioni

Divenuto un personaggio di fama internazionale grazie al libro Risvegli, dal quale è stato tratto il bellissimo film con Robert De Niro e Robin Williams, di questo celebre neurologo britannico avevo letto soltanto “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, interessante compendio di curiose situazioni clinico psichiatriche, dove si racconta come varie forme di patologie neurologiche determinino nei pazienti comportamenti bizzarri e singolari. Pazienti che vengono descritti dall’ottima mano di Oliver Sacks come dotati di un’umanità e un’intelligenza fuori dall’ordinario.
Sacks suddivide il saggio in 15 capitoli nei quali descrive le situazioni cliniche o fisiologiche per cui è possibile soffrire (o godere…) di vari stati allucinatori, mono o pluri-sensoriali. continua a leggere…

Radio Free Albemuth, il Film…

Radio Free AlbemuthPer tutti gli appassionati di fantascienza, e di Philip k. Dick in particolare, segnalo l’esistenza di un film tratto da una sua opera che molto probabilmente non vedremo mai in Italia. Il film s’intitola Radio Free Albemuth, ed è tratto dall’omonimo romanzo pubblicato postumo (in Italia col titolo Radio libera Albemuth – Fanucci Narrativa), che allo scrittore californiano servì da base per la scrittura del più celebre Valis. In realtà, il titolo originale di Radio Free Albemuth doveva essere proprio ValisystemA, tuttavia l’editore chiese a Dick una serie di modifiche, che alla fine si concretizzarono in un vero e proprio nuovo romanzo: Valis, appunto.
Io ho letto entrambi, e devo dire di ritenerli, qualitativamente parlando, sullo stesso piano. Il film è stato girato nel 2010, ha vinto alcuni premi e annovera Alanis Morisette nel cast. Si tratta di una produzione indipendente, che a quanto pare è incappata in diversi problemi di distribuzione.
A questo punto è d’obbligo una la domanda: perché ce ne parli?
Perché nel sito del film compare in automatico un form che ti invita a richiederne la distribuzione nel tuo paese, qualora non fosse prevista. Pertanto, se anche voi amate le opere di PKD, vi consiglio di dare uno sguardo a questo link www.radiofreealbemuth.com, guardare il trailer e compilare il form suddetto.
Secondo me non serve a niente, ma tentar non nuoce 😉

Emmanuel Carrère, Limonov

Fino ad ora avevo letto soltanto un altro libro di Emmanuel Carrère: la biografia semi-romanzata di Philip Dick “Io sono vivo e voi siete morti”. Quel libro mi è rimasto nel cuore, e pur non avendolo più preso in mano, di tanto in tanto mi ritornano in mente alcuni suoi passaggi. Si trattò, a tutti gli effetti, di un’ottima lettura.
Anche per questo “Limonov”, Carrère ha scelto la formula della biografia romanzata. Eduard Limonov è uno scrittore, poeta, politico, attivista russo. Emigrato negli Stati Uniti negli anni settanta è stato un esponente della scena punk Newyorchese, un giornalista reazionario in Francia, un combattente in Serbia e un politico d’opposizione in Russia. Politicamente può essere considerato una sorta di fascio-comunista: ha fondato il partito Nazional-Bloscevico e per via delle sue posizioni estremiste è stato accusato di terrorismo e rinchiuso in galera per un paio di anni. Continua a leggere

Una storia italiana.

soldi-jpg-crop_displayL’Ing. Rossi nacque in una famiglia di poveri contadini dediti al lavoro. Tuttavia, grazie allo studio, l’impegno e una massiccia dose di testardaggine riuscì a laurearsi e ad avviare la sua piccola attività. Grazie alla creatività sua e dei suoi collaboratori, alle giuste alleanze e a un po’ di fortuna, l’attività crebbe a dismisura, fino a raggiungere una dimensione planetaria.
Certo, in un modo o nell’altro dovette cedere ad alcuni compromessi, soprattutto con i politici, sempre più ingordi, e persino con la malavita, che in cambio della sua “protezione”pretendeva di partecipare al banchetto.
L’Ing. Rossi per nulla al mondo avrebbe voluto rinunciare a quello status di privilegiato che era riuscito a costruirsi, e mai e poi mai avrebbe accettato di sacrificare i suoi dipendenti, per i quali aveva contribuito ad assicurare benessere e prosperità, e se il prezzo da pagare era questo, allora avrebbe pagato…
Nonostante questi problemi gli affari continuavano ad andare bene, anche se, ingrandendosi, dovette ridurre premi e regalie concessi forse con troppa spavalderia ai suoi dipendenti. I quali, tutto sommato, continuavano a ricevere salari adeguati. Purtroppo alcuni di loro trattenevano una parte della produzione, da rivendere poi sottobanco per potersi permettere qualche sfizio. L’Ing. Rossi tollerava questi comportamenti: i suoi dipendenti dovevano rimanere tranquilli, per non rischiare di vederseli sottratti dalla concorrenza.
Ma il fatturato iniziò inesorabilmente a contrarsi.
La produzione viaggiava sempre a pieno ritmo, ma i fidi e i prestiti concordati con le banche crebbero negli anni, e da strumento utile per garantire liquidità di breve durata divenne il modo più facile per continuare a elargire stipendi gonfiati, bustarelle, accordi sottobanco…
Finché il debito divenne talmente imponente da superare il fatturato stesso. A quel punto concorrenti, fornitori e clienti dell’Ing. Rossi decisero di passare all’attacco, e nonostante avessero stretto con lui una serie di accordi di collaborazione e scambio, gli imposero di ristrutturare il debito, e per far questo fecero pressioni sulle banche, le quali, a loro volta, rischiavano di non vedersi restituire i soldi prestati.
L’ing. Rossi costrinse alle dimissioni l’Amministratore Delegato, che da vent’anni guidava la sua Impresa. In realtà proprio l’Amministratore Delegato, insieme a quelli che l’avevano preceduto, è stato uno dei più grandi artefici della distruzione dell’azienda. Non solo, per garantire il suo posto aveva lasciato che i dipendenti rubassero senza farsi troppi problemi, ben più di quanto l’Ing. Rossi era disposto a tollerare.
Una volta liquidato senza troppi complimenti l’Amministratore Delegato, le banche, d’imperio, imposero un loro uomo a capo dell’azienda, e questi si impegnò, senza illustrare il progetto ai dipendenti, in un immane progetto di ristrutturazione: dimezzare l’indebitamento in vent’anni, utilizzando tutti gli utili, tagliando gli stipendi, licenziando dipendenti o mandandoli in pensione anticipata senza versargli i contributi, vendendo rami d’azienda (anche strategici) ai concorrenti…
Durò poco, così come durarono poco gli altri due Amministratori Delegati, che incredibilmente mantennero gli impegni presi dal suo predecessore…

Epilogo
L’Ing. Rossi, ormai vecchio, si arrese: il suo cuore, indebolito, cedette e la sua impresa, alla fine, venne divorata dai concorrenti, che fecero carne da macello della forza lavoro, la quale, alla fine, imbracciò le armi…

L’Ing. Rossi, se non l’avete capito, è l’Italia…

Margaret Atwood, L’Ultimo degli Uomini

Margaret Atwood (Autore), R. Belletti (Traduttore), Copertina flessibile: 303 pagine, Editore: TEA (29 ottobre 2009), Collana: Teadue

Per qualche strano motivo in vita mia ho letto pochissimi libri scritti da autrici del gentil sesso (definizione abusata, ma scrivere donne o femmine mi suonava cacofonico). Non ho granché voglia di spiegare questa anomalia, anche perché non credo di avere argomenti sufficientemente validi a mio discapito. Dico soltanto che, generalmente (e colpevolmente), associo la narrativa femminile ai quei generi dai quali mi tengo volentieri a debita distanza: young adult, saghe varie, trilo/quadrilogie assortite, triller piccanti e porno patinati.
E siccome nel 99% delle cose che leggo tengo conto della storia e non chi l’ha scritta (salvo POI appassionarmi a questo o quello scrittore), ecco spiegato in buona sostanza il motivo per cui ho avuto così poco a che fare con signore scrittrici.

Detto questo, vista la mia passione (ossessione?) per i romanzi ad ambientazione pre e post apocalittica, mi sono imbattuto in questo L’Ultimo degli Uomini, della scrittrice canadese Margaret Atwood. Continua a leggere