Dopo aver letto l’ultima pagina sono stato tentato di assegnare al romanzo cinque stelle su cinque nella recensione Amazon, poi ho ritenuto più adeguato un quattro su cinque, e alla fine della recensione per poco non correggo a tre stelle. Ma andiamo per ordine.
Finalmente un gran bel romanzo di fantascienza hard, dove tecnologia, chimica e fisica – ingredienti principali per concetti spiegati molto bene, senza l’utilizzo di formule matematiche o termini incomprensibili – vincono su qualsiasi forzatura narrativa di comodo, tipo [SPOILER]alieni, viaggi nel tempo, motori a curvatura, tachioni, superpoteri[/SPOILER]. Tuttavia ritengo che cinque stelle si possano dare soltanto ai capolavori assoluti, quelli che ti cambiano la vita, e questo certo non lo è. Si tratta di un ottimo romanzo, una gran bella storia che si legge tutta d’un fiato, senza cali di ritmo e che pagina dopo pagina mantiene la giusta tensione. Per questo quattro stelle.
Poi a ben vedere manca di un po’ di sana introspezione, le situazioni drammatiche non vengono rese con la giusta profondità, e le questioni psicologiche e filosofiche lasciano il passo alla successione degli eventi e alle descrizioni scientifiche/tecnologiche. Per questo alla fine sono stato tentato di levare un’altra stella, ma poi ho pensato al piacere che ho provato nella lettura, a quella voglia di non staccare mai gli occhi dalle pagine fino alla fine della storia. Insomma: quattro stelle e non se ne parla più.
La trama. L’Uomo di Marte (The Martian il titolo originale, che l’editore evidentemente non s’è sentito di tradurre letteralmente in Il Marziano) racconta la storia di Mark Watney, giovane astronauta/botanico/ingegnere che a causa di un incidente catastrofico rimane intrappolato sulla superficie di Marte, mentre gli altri membri dell’equipaggio – riusciti a evacuare in tempo – e il resto della razza umana lo credono morto. Watney invece è sopravvissuto a una grave ferita, e pur non riuscendo a comunicare con nessun altro essere umano, e con la prospettiva di sopravvivere quel poco tempo che le scorte alimentari gli consentono, non si dà per vinto e cerca di escogitare un piano che gli consenta di aumentare la disponibilità cibo, costruire un rudimentale sistema di comunicazione con la terra, e infine intraprendere un lungo viaggio verso la salvezza, viaggio non privo di sorprese… Ma ora basta, altrimenti rivelo troppi dettagli.
Lo strillo di copertina parla di Gravity che incontra Robison Crusoe. Io direi invece MacGyver che incontra Bear Grills un po’ più lontano del solito…
Andy Weir è un self publisher, di quelli che in America pubblicano per proprio conto un romanzo su Amazon, com’è possibile fare anche in Italia, ma che da quelle parti (se sei bravo, scrivi bene e la storia appassiona) ha la possibilità di diventare famoso e guadagnare palate di soldi. Il romanzo infatti è stato ristampato da un grosso editore, venduto in tutto il mondo e opzionato per il cinema (si parla di gente del calibro di Ridley Scott e Matt Damon). In pratica ciò che in Italia, per tanti motivi (anche soltanto per il fatto che abbiamo il vizio di scrivere… in italiano), non accade MAI.
Alcune considerazioni a margine. Il libro esordisce con un linguaggio giovanilistico da nerd diciottenne, che sulle prime mi ha irritato non poco. Niente paura: tempo dieci pagine e ci si abitua al personaggio, e quindi anche al suo modo di parlare.
Il traduttore (Tullio Dobner, non un pinco pallino qualsiasi…), pur avendo fatto un buon lavoro, sembra non curare troppo lo stile, almeno inizialmente (alcune ripetizioni danno non poco fastidio), e questa forse è la causa di alcuni termini tradotti letteralmente in modo errato, tipo “celle a COMBUSTIONE”, per fare un esempio. Peccati veniali, sui quali si può e si deve soprassedere.
Buona lettura.