Premessa: l’horror non è nelle mie corde. Non mi dispiace leggerlo, saltuariamente, tuttavia ritengo di non essere assolutamente capace di imbastire una storia che possa spaventare chicchessia. Nonostante questo ho partecipato per due volte al concorso 300 Parole per un incubo, indetto dal sito Scheletri.com. Una particolarità di questo concorso consiste nella pubblicazione nel sito di tutti i racconti presentati dopo la proclamazione dei vincitori. Alcuni di questi racconti, generalmente i primi 10, vengono pubblicati su ebook.
Ho presentato “L’era del vento e del freddo” nell’edizione 2011 del concorso, classificandomi al sedicesimo posto insieme ad altri 8, su un totale di 57 racconti presentati. Tutto sommato un piazzamento neanche troppo negativo, considerata la premessa.
L’era del vento e del freddo
Si svegliò in un’ora imprecisata della notte.
Scansò la cenere che si era accumulata nella sua coperta di lana infeltrita, tirò fuori la testa e provò a sentire il vento. Nessun rumore. Niente si muoveva, niente era vivo. Attese con gli occhi aperti la debole luce dell’alba fredda e scura.
Tastò con la mano la consistenza gelida della lama. Sentì l’irregolare presenza di sangue rappreso.
L’alba arrivò, carica di grigiore, freddo e lamento. E arrivò il vento.
Uscì dalla grotta col machete nella fodera e la coperta avvolta come un poncho. Mise il cappello e si avviò nella landa degli alberi neri.
Vedeva del fumo in lontananza. Idioti. Il fuoco si accende la notte, lo si tiene coperto e lo si spegne prima dell’alba. Impossibile scorgere il fumo nella notte scura.
Si avviò verso quel falò dimenticato, annusando le tracce portate dal vento.
Percorse senza difficoltà la selva di rami carbonizzati, frantumandoli sotto i piedi.
Si fermò davanti ad un albero. A un grosso ramo avevano impiccato un’intera famiglia. Padre, madre e i due figli. Erano stati sventrati con tagli verticali, dai genitali al collo. Gli occhi erano stati cavati dalle orbite e la lingua estratta e infilzata con un legno appuntito. Le gambe erano state segate all’altezza del pube. Ne avrebbero affumicato la carne e recuperato i femori, e con la pelle della schiena avrebbero fabbricato cinture, lacci e bisacce.
Raggiunse il falò. Tre vecchi cercavano invano di scaldarsi. Lo video. Supplicarono pietà, ben sapendo che per loro non ci sarebbe stato più niente da fare. Con una mano impugnò il machete e con le altre due i coltelli. Lasciò cadere il poncho, distese le ali e si librò verso di loro.
Se sei interessato alla pubblicazione del racconto, contattami tramite questo link.