Questo articolo è stato scritto nel novembre 2008 e oggi – marzo 2016 – ripreso, rivisto e ampliato per la rivista online Adromeda.
Probabilmente non è il più originale, né il più diverte, tantomeno il più letto. Tuttavia, considero La Ragazza di Vajont il miglior romanzo scritto da Tullio Avoledo.
Seguendo un registro sottilmente cupo e poetico, Avoledo mette da parte il tipico e divertente cinismo che ha caratterizzato i personaggi delle sue opere precedenti, per raccontare la storia di un complice, un debole che sacrifica i propri ideali nella ricerca di un riscatto personale e di un appagamento delle proprie ambizioni, frustrate da una serie di eventi nefasti che la sua memoria non riesce a incasellare in un passato nebuloso. Una persona disposta a rinnegare le proprie idee e i propri valori al punto di vendere metaforicamente la propria anima al “diavolo”: il leader di un’Italia in rovina travolta dalla deriva reazionaria e xenofoba.
I temi trattati dallo scrittore pordenonese ricalcano più o meno quelli degli altri romanzi. In questo però le tematiche fantascientifiche (e più specificatamente quelle ucroniche) non vengono soltanto accennate come nei quattro precedenti (L’elenco telefonico di Atlantide, Mare di Bering, Lo Stato dell’Unione, Breve Storia di Lunghi Tradimenti) ma si integrano alla perfezione con la descrizione di una vicenda umana che vede il protagonista sedotto e ammaliato dalla femme fatale di turno; come negli altri romanzi troviamo infatti una sorta di Black Hair Girl di Dickiana memoria, anche se con i capelli biondi, meno cattiva e questa volta vittima – e non strumento – del potere. Ritroviamo un mondo dove le dittature fasciste hanno preso il sopravvento, come in una specie di seguito ideale de Lo Stato Dell’Unione, in un futuro alternativo nel quale fanno capolino alcuni elementi del nostro presente (e qui paiono nuovamente evidenti i riferimenti a P.K. Dick, scrittore letto e apprezzato da Avoledo).
Benché come già detto la struttura ricalchi in minima parte quella dei romanzi passati, questa volta Avoledo evita di ricadere in un remake di se stesso, come per sua stessa ammissione è accaduto per Breve Storia Di Lunghi Tradimenti. Rimangono tuttavia alcuni punti di contatto con i protagonisti dei romanzi precedenti: abbiamo un protagonista di mezza età, ora triste e dalla memoria compromessa; un sorta di “guru cinico” per amico; la bella di cui sopra e la già citata dittatura nello sfondo.
La Ragazza di Vajont appare come un romanzo maturo, a volte quasi magico, certo coinvolgente e con il solo difetto di non approfondire alcuni aspetti, alcuni passaggi che rimangono un po’ troppo sfumati (volutamente?) sullo sfondo di una vicenda sapientemente costruita. Lettura appagante di un romanzo al quale, forse, sarebbero servite un centinaio di pagine in più. Chissà.
Speriamo in un sequel. Per me è il miglior romanzo di fantascienza italiano degli ultimi quindici anni. Anche se ai confini del genere.
Concordo. Aggiungo che, stranamente, credo sia il romanzo di Avoledo col peggior riscontro di vendite.