Hai voglia a dire che Macchine come me di Ian McEwan non è fantascienza. Lo è eccome! Come definire diversamente un romanzo sapientemente ambientato in un universo ucronico e che annovera tra i protagonisti un androide?
Eppure, a partire dall’autore stesso, la definizione di romanzo fantascientifico non è stata quasi mai utilizzata per indicare il genere letterario nel quale può essere annoverata quest’opera. Solito atteggiamento snob nei confronti di un genere popolare, o esigenze commerciali da salvaguardare? Direi entrambi…
Ci troviamo in una realtà alternativa, il cui POV (point of divergence) parte dalla scelta fatta dal genio matematico e padre dell’informatica Alan Turing (quello di Enigma, per intenderci) di accettare la pena detentiva, comminatagli a causa di una condanna per omosessualità, anziché sottoporsi alla castrazione chimica, sopravvivendo così a quella depressione che nel nostro continuum pose fine alla sua esistenza a soli 41 anni. Grazie al lavoro del Turing “sopravvissuto” il progresso tecnologico ha subito un’incredibile accelerazione, tanto che nel 1982 ucronico immaginato da McEwan sono già disponibili le tecnologie che nel nostro presente verranno introdotte molto più tardi: internet e i social network, telefoni cellulari, autoveicoli a propulsione elettrica e quant’altro. Ma le differenze non si limitano soltanto alla tecnologia: missili di fabbricazione francese forniti al governo argentino e dotati di intelligenza artificiale hanno disintegrato la flotta britannica salpata per le Isole Falkland, determinando la vittoria dell’Argentina nella breve guerra contro il Regno Unito. Il premier Margaret Tatcher si trova così in enorme difficoltà, incalzata peraltro da una situazione economica e sociale precaria, con frequenti disordini di piazza e la disoccupazione arrivata livelli incontrollabili. Nel mentre i Beatles, nuovamente riuniti a dieci anni dallo scioglimento, riprendono a mietere successi; il laburista anti europeista Tony Benn si candida a sostituire la Lady di Ferro; negli USA Jimmy Carter sconfigge Ronald Reagan.
In questo contesto si muove Charlie Friend, il protagonista e narratore del romanzo: giovane trentenne inglese, ex avvocato – radiato per via di un affare non proprio pulito -, appassionato di elettronica e antropologia, vivacchia grazie ai pochi guadagni derivanti dal trading on line. A seguito di un lascito testamentario decide di investire l’intero capitale di cui dispone nell’acquisto di Adam, primo modello di androide prodotto in pochi esemplari insieme ad altrettante Eve (“subito andate a ruba”). Adam è un androide di bell’aspetto, dai modi gentili, eloquio elegante, una spiccata intelligenza razionale, e capace di provare emozioni. Adam, soprattutto, ha un forte senso etico. Per il “setup” iniziale, che serve a plasmare il carattere dell’androide secondo le preferenze del “padrone”, Charlie decide di coinvolgere la giovane, attraente e misteriosa Miranda, studentessa e inquilina del piano di sopra, con la quale Charlie condivide un’amicizia che non tarderà a evolvere in una vera e propria relazione sentimentale. Presto il lettore verrà catapultato nel complicato gioco di rapporti tra Charlie, Miranda e Adam, ai quali si aggiungerà un bambino vittima di una situazione familiare disagiata e che Miranda e Charlie proveranno ad adottare, finché non verrà fuori il passato misterioso di Miranda ad ingarbugliare tutta la vicenda.
Devo dire che il romanzo mi è piaciuto parecchio. Conoscevo Ian McEwan di fama, ma di lui non avevo mai letto niente. Come tanti autori mainstream, anche lui ha voluto provare a scrivere fantascienza, con lo “scopo” di voler analizzare in chiave metaforica la nostra società. E l’ha fatto, a mio modesto parere, in modo egregio. Scritto con un linguaggio semplice e ironico, le pagine scorrono senza mai annoiare, accompagnandoci verso un finale forse un po’ troppo sbrigativo. Consigliato agli appassionati di fantascienza e non, sempre che non abbiano la puzza sotto il naso.